Quanto può valere in Italia il mercato dell’intelligenza artificiale

In Italia l’intelligenza artificiale potrebbe valere un incremento del Pil pari al 13% da qui al 2030. Che tradotto in moneta vuol dire 228 miliardi di euro. La stima, presentata durante l’evento The Future Is Now, arriva dalla società di consulenza McKinsey & Company e dal suo istituto di ricerca economica McKinsey Global Institute. 

Il peso dell’intelligenza artificiale

Per l’Europa,  l’aumento del Pil potrebbe essere del 19%, per un valore pari a 2700 miliardi di euro nel prossimo decennio. Massimo Giordano, managing partner McKinsey Mediterraneo ha sottolineato che l’AI “rappresenta un’opportunità unica per la competitività e la crescita del nostro continente, che può puntare su diversi punti di forza: un settore industriale all’avanguardia; un ampio bacino di talenti nella ricerca e nel tech; un numero di startup in continua crescita. Sarebbe quindi un peccato perdere questa occasione. Non si tratta infatti di un tema astratto, ma di ricchezza concreta”.

Molti talenti, pochi capitali

Quando si guarda al prossimo decennio, l’evoluzione tecnologica è – come sempre – accompagnata da mutamenti profondi. A partire dal mondo del lavoro. Il tempo impiegato in mansioni che richiedono competenze tecnologiche elevate aumenterà del 40%. Quello impiegato facendo fruttare competenze di basa del 65%. Per soddisfare questa fame di “skill” ci sono due modi, spiega McKinsey: aggiornare l’offerta formativa per chi arriverà nel mondo del lavoro e riqualificare chi ci sta già dentro. L’Europa può contare su una comunità di ricercatori più ampia di quella degli Stati Uniti o della Cina.

Il numero di programmatori software europei è cresciuto del 4-5% negli ultimi due anni e oggi raggiunge 5,7 milioni (negli Usa sono 4,4 milioni). Buoni segnali ma non sufficienti. Perché, come spiega la società di consulenza, la concorrenza per i tech-talenti è mondiale e l’Europa deve tornare a essere un polo di attrazione, richiamando i suoi cervelli in fuga e attraendo le migliori menti dalle altre parti del mondo.

In Europa il numero di startup che si occupa di intelligenza artificiale è triplicato negli ultimi tre anni e gli investimenti sono a livelli record, con 21 miliardi di euro investiti nel 2018 (+360% rispetto agli ultimi 5 anni). Ma, ricorda McKinsey, il numero di “unicorni” europei – ossia startup che hanno una valutazione superiore a 1 miliardo di dollari – è cresciuto a una velocità dimezzata rispetto agli Stati Uniti. Colpa anche di un mercato del venture capital europeo meno sviluppato e troppo concentrato: il 90% di questi finanziamenti è destinato a soli otto Stati Ue.

Tra pubblico e privato

Tra le leve indicate dalla società di consulenza ci sono il Business-to-Business (cioè le attività di imprese che guardano ad altre imprese). “I confini tra i settori sono sempre più labili ed è quindi fondamentale pensare e agire in ottica sinergica, di ecosistema”, sottolinea McKinsey. Che cita come esempio virtuoso la European Automotive Telecom Alliance, un’alleanza tra operatori del settore delle telecomunicazioni e il mondo dell’auto per promuovere la diffusione della guida connessa e automatizzata.

Anche il settore pubblico potrebbe “fare da volano per lo sviluppo dell’innovazione in Europa”: la spesa europea per i prodotti e servizi pubblici ammonta a circa 2.000 miliardi di euro l’anno (pari al 14% del Pil). Se “una parte rilevante” di questa spesa fosse destinata all’innovazione “il settore pubblico, innovando esso stesso, potrebbe innescare un circolo virtuoso di cui beneficerebbe anche il settore privato”. 

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