Da quando è arrivato sullo schermo il primo film, il potere ha subito avuto paura e messo in moto il meccanismo della censura.
La censura è una forma di controllo che ha martoriato migliaia e migliaia di pellicole, per imporre una morale sociale, religiosa, sessuale e una politica di stampo conservatore e protezionistico, sempre in ritardo sui tempi.
Uno sguardo per riflettere sulle “forbici di Stato” lo offre la rassegna “Cinema e censura” al via giovedì 5 dicembre al Greenwich (ore 18, ingresso libero, introduzione del critico cinematografico Sergio Naitza), promossa dall’associazione culturale Settima Arte con il contributo della Regione Sardegna, Assessorato della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport: 15 proiezioni divise in quattro blocchi
più un seminario con lo storico del cinema Tatti Sanguineti, che alla censura ha dedicato studi e saggi, autore del documentario “Giulio Andreotti.
Il cinema visto da vicino” (il racconto di come l’Italia democristiana del dopoguerra manovrò il cinema) previsto nel cartellone. Censura però non è solo l’intervento dell’occhialuto moralizzatore che si erge a difensore del comune senso del pudore: lo è anche quella che subiscono gli autori,
penalizzati dai diktat dei produttori. È il caso del primo film in programma: “Greed” (Rapacità) del genio Erich von Stroheim, un affresco del muto, girato nel 1924, uno dei capolavori maledetti e mutilati della storia del cinema.
Durava 4 ore, il produttore lo fece ridurre a 100 minuti: ma quel che resta è un film di una forza visiva unica, dove realismo e simbolismo concorrono a mettere in luce i guasti di una società americana votata al denaro e all’avarizia.
In questo primo blocco sono previsti “Freaks” (1932) di Tom Browning, altro film con l’etichetta di maledetto, che restituisce umanità ai fenomeni da baraccone, riflessione sulla diversità fisica e sull’accettazione. A seguire
“Diavolo in corpo” (1946) di Claude Autant-Lara, la storia di un amore adolescenziale e proibito fra un giovane e una donna sposata e “Jules e Jim” (1962) di François Truffaut, il libero triangolo fra una donna e due uomini: film che furono osteggiati dalla censura per la capacità di indagare sugli anfratti dell’amore fuori dalle rigide e bacchettone morali dell’epoca.