Il film di Fabio Cavalli chiude un bilancio straordinario per l’edizione inaugurale dell’International Gramsci Festival. Molto apprezzato il documentario che racconta il viaggio della Corte Costituzionale in visita nelle carceri italiane. Giorgio Macciotta: “Non sottovalutiamo il richiamo internazionale che Gramsci può esercitare”
GHILARZA. Il viaggio della Corte Costituzionale nelle carceri, nella testimonianza toccante del docufilm di Fabio Cavalli, ha chiuso la prima edizione dell’International Gramsci Festival, suggellando la declinazione di un tema, quello del “carcere”, che per tre giornate ha suscitato profondo interesse e attenzione a Ghilarza.
E in effetti il lavoro di Cavalli ha immortalato con grande maestria un momento storico: nel 2018 un gruppo di giudici della Corte Costituzionale ha deciso di visitare per la prima volta gli istituti di pena.
Da Marassi a Genova per proseguire con San Vittore a Milano, da Firenze a Napoli, sette magistrati sono entrati in altrettanti penitenziari, e il regista ne ha documentato il percorso dal nord al sud dello Stivale.
Fra gli aderenti all’iniziativa c’è anche la prima presidente donna della Corte, Marta Cartabria.
Il film sfiora nel profondo le coscienze di tutti. Si vede anche un ramo del carcere in cui sono alloggiati i transgender e una sezione in cui le mamme recluse vivono con i loro figli.
«La sorpresa è stata nel vedere la reazione dei giudici in questo momento di incontro e constatare che anche i detenuti lo considerassero importante per il loro percorso. Sia negli occhi dei primi che dei secondi, ma anche in quelli delle persone che vedono il filmato, ho visto l’umanità – ha affermato il regista – forse sono riuscito a far cadere il velo, la nebbia del pregiudizio, per un attimo, mostrando i cuori, le anime e le menti degli uni e degli altri».
Rapito dai contenuti, il pubblico del festival è intervenuto con domande e testimonianze. Qualcuno ha anche parlato dei suoi ricordi della Torre Aragonese, quando era adibita a carcere.
Il punto di vista dall’altra parte delle sbarre è arrivato a inizio serata, nell’intervento dell’ergastolano nuorese Sebastiano Prino, che ha interloquito con il sociologo Gianfranco Oppo e i giornalisti Luciano Piras e Piera Serusi.
«Quando sono entrato in carcere ero quasi analfabeta, poi ho ricominciato a leggere e piano piano mi è venuta la passione per la scrittura», ha detto Prino, che ora ha al suo attivo due pubblicazioni ed è conosciuto come il “detenuto-scrittore”.
«Sono qui per portare questa mia piccola testimonianza che spero possa servire non solo ad altri che vanno a finire in prigione, ma anche a chi le prigioni le governa – ha affermato – per dare veramente un cambiamento dentro quei posti perché da quei posti possono uscire delle persone migliori. Bisogna volerlo, soprattutto da chi sta in alto».
Prino, che fu condannato alla massima pena per la partecipazione alla strage di Chilivani, oggi è considerato un esempio e vive in regime di libertà vigilata. Finirà di scontare la pena nel 2023.
Il ciclo virtuoso inaugurato dal neonato festival intorno a temi di così profonda sensibilità, in questi giorni ha permesso alla cittadina del Guilcer di essere al centro dell’attenzione a livello internazionale, ospitando personaggi di spicco che hanno manifestato profonda commozione per il loro arrivo in un luogo così altamente simbolico, in occasione peraltro della riapertura dell’edificio museale che fu dimora del giovane Antonio Gramsci.
Come ha ribadito più volte nel corso della kermesse il presidente della Fondazione, Giorgio Macciotta, «non vogliamo un museo imbalsamato, ma capace di permettere alle tematiche gramsciane di interagire con mondo. Finora si è fin troppo sottovalutato il forte richiamo internazionale che Gramsci può esercitare, non solo come risorsa di pensiero civile ma anche come risorsa economica per tutto il territorio».