Teatro Senza Quartiere, stagione 2019 2020, al Teatro del Segno va in scena “Il Sistema Periodico”, drammaturgia e regia di Stefano Ledda. Appuntamento al TsE, via Quintino Sella – Is Mirrionis – Cagliari, sabato 14 dicembre alle 21
Focus sugli intrecci fra arte e vita ne “Il Sistema Periodico”, la pièce originale liberamente ispirata all’omonima raccolta di racconti di Primo Levi, con drammaturgia e regia di Stefano Ledda, anche protagonista sulla scena sulle note del sax di Juri Deidda, che debutterà in prima nazionale sabato 14 dicembre alle 21 al TsE di via Quintino Sella nel cuore di Is Mirrionis a Cagliari per un omaggio allo scrittore piemontese, una delle coscienze più lucide del Novecento, a cento anni dalla nascita, incastonato nella Stagione di Teatro Senza Quartiere 2019-2020 firmata Teatro del Segno.
Viaggio tra storie ed emozioni sulla falsariga della curiosa antologia con puntuali rimandi alla “tavola periodica” di Dmitrij Ivanovič Mendeleev (a centocinquant’anni dalla illuminante relazione su “L’interdipendenza fra le proprietà dei pesi atomici degli elementi”) con la nuova produzione del Teatro del Segno (presentata in anteprima – in forma di primo studio – la scora estate al Festival Percorsi Teatrali a Santu Lussurgiu). Un’opera “necessaria” come sottolinea l’attore e regista Stefano Ledda, in cui alla scelta di alcuni racconti emblematici – “Idrogeno”, “Cerio”, “Piombo”,“Carbonio”, “Zinco” e “Argon” – preziosi per delineare un ritratto dello scrittore divenuto suo malgrado uno dei testimoni della tragedia della Shoah, si aggiunge l’eco delle parole di Primo Levi in saggi, racconti, romanzi e interviste, rivelatesi amaramente “profetiche”: «Al fascismo di oggi manca soltanto il potere per ridiventare quello che era, e cioè la consacrazione del privilegio e della disuguaglianza».
L’idea di mettere in scena “Il Sistema Periodico” con i suoi sapienti ma anche sorprendenti accostamenti fra gli elementi autobiografici e la storia del Novecento nasce dieci anni fa, sull’onda delle suggestioni offerte da queste pagine che spaziano dai ricordi di un’infanzia in seno alla comunità ebraica piemontese ai primi esperimenti e alle scoperte di un giovane chimico, fino alla cattura e all’internamento ad Auschwitz, per culminare nell’immagine di un atomo di carbonio, che giunge attraverso una serie di metamorfosi a insediarsi e far parte del cervello dell’autore, in un circolo virtuoso che caratterizza il cosmo e la natura – nelle sue più intime trasformazioni.
Tra le righe non manca un riferimento alla Sardegna, con la vicenda di un cavatore di piombo stabilitosi in un villaggio vicino a Bacu Abis – in cui è documentato lo sforzo titanico dell’uomo per sottrarre alla madre terra – e all’Isola di Ichnusa – i tesori nascosti.
La pièce teatrale – presentata in anteprima in forma di primo studio la scorsa estate a Santu Lussurgiu (OR) nell’ambito dell’XI Festival Percorsi Teatrali – scaturisce dalle trame dei racconti e insieme dalle intuizioni e riflessioni di una delle menti più attente e consapevoli del panorama culturale italiano – e non solo – nel secolo breve: una conoscenza raggiunta attraverso le ferite dell’anima e la sofferenza, in un transito attraverso l’orrore inimmaginabile – eppure reale dei campi di sterminio nazisti. II pensiero di Primo Levi si rivela oggi più che mai attuale nell’evidenziare i pericoli di derive populiste e razziste – a cominciare dalla rinuncia alla propria umanità: «Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre» ricorda l’autore di “Se questo è un uomo” e “La tregua” – a fronte dei rischi del “revisionismo” e dell’oblio: «Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia».
“Il Sistema Periodico” è insieme un’ode al progresso e alla scienza, alle capacità umane e all’ingegno, ma anche un avvertimento a non abbassare mai la guardia: il riferimento all’incubo delle leggi razziali e al genocidio affiora come un monito perché, come rammenta Francisco Goya in uno dei suoi “Capricci”, “Il sonno della ragione genera mostri” e come sottolinea lo stesso Levi, «Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo».
Nel presente trovano una perfetta e inquietante rispondenza le riflessioni di “Se questo e un uomo”: «A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero è nemico”. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il lager». La storia non sempre è magistra vitae, ma la conoscenza degli eventi e delle cause può fungere da antidoto affinché quel che è accaduto non si ripeta mai più – per prevenire il “contagio” di questa nuova “peste” – per rompere il silenzio sulle azioni efferate che si compiono in difesa della “civiltà”.
“Il Sistema Periodico” racconta in certo qual modo per metafore la “chimica” delle passioni umane – le fragilità e debolezze, i pregiudizi e le paure latenti, perfetta sintesi e specchio di quel «sentirsi anfibio, chimico di giorno e scrittore la notte o per le ferie» – ovvero la doppia vita di Primo Levi. Una “combinazione” fatale in cui il talento per la scrittura e la sensibilità d’artista si fondono al rigore e al metodo del ragionamento scientifico, a fronte dell’ordine della natura e del caos che governa l’esistenza degli esseri umani, l’amore per il sapere e la capacità di indagare e perfino mescolare gli elementi e l’abominio delle persecuzioni e delle deportazioni nei lager, il ricordo indelebile del genocidio e della follia nazista.
«“Il Sistema Periodico” accade in uno spazio “abitato” da pochissimi elementi scenici, la cui “valenza” di volta in volta consente di legarsi ad un racconto, una poesia, un’intervista, un’esortazione, un monito» scrive nelle note il regista Stefano Ledda. Un flusso di coscienza, tra libere associazioni di pensieri, “azioni” fisiche che definiscono il tempo e lo spazio, sulla colonna sonora di Juri Deidda, in una geometria dei ricordi e delle emozioni, in cui la verità della materia, pur con i suoi misteri, si contrappone all’orrore dell’indicibile. «Le parole di Primo Levi ci restituiscono una figura esemplare che, partendo dalla concretezza del mestiere di chimico, riflette, si educa e in qualche modo “ci” educa, a ricomprendere le cose e gli uomini, a prendere posizione, lontani dalla “grigia innocenza” a misurarci, a ritrovare un nostro esistere meno disumano, e riscoprire l’esigenza di testimoniare a favore della scintilla fondamentale della ragione e della imprescindibile difesa della dignità di ciascuno» conclude Stefano Ledda.
Sulla falsariga dei racconti, si parte dalla giovinezza dell’autore, dalla passione per la chimica, con lo svelarsi di una nascente “vocazione” per la scienza in “Idrogeno”, poi il parallelismo tra gli elementi e la natura umana, in cui un gas nobile come l’ “Argon” rimanda a «un atteggiamento statico di dignitosa astensione, di relegazione al margine del gran fiume della vita», una condizione di aulica riservatezza che induce a sottrarsi al contatto con altre realtà differenti. Un’esercitazione nel laboratorio dell’università, la preparazione del solfato di “Zinco”, offre lo spunto per affrontare «l’incomprensibile universo femminile» e permette di soffermarsi su uno dei passaggi cruciali del libro: «l’elogio all’impurezza».
Diario dal lager e storia di un’amicizia in “Cerio”, con il ricordo di Alberto Dalla Volta, una delle vittime di Auschwitz, e degli espedienti che permisero ai due giovani di sopravvivere nel campo, prima della tragica “marcia della morte”. Infine un messaggio di speranza con il fantasioso itinerario nel tempo e nello spazio di una molecola, nell’incessante susseguirsi delle trasformazioni in un universo dove nulla si crea e nulla si distrugge, che termina nella testa dello scrittore, in “Carbonio”.
La pièce si conclude con i versi de “Le pratiche inevase”, una sorta di “lettera di dimissioni” in cui l’autore dichiara di aver lasciato «molto lavoro non compiuto», confessa le parole non dette, un dono, un bacio non dato, i progetti lasciati in sospeso, i viaggi mai compiuti in «città lontane, isole, terre deserte» e un libro non scritto, che avrebbe «donato a molta gente/ il beneficio del pianto e del riso»: un elegante, sottilmente ironico e quasi profetico addio alla vita e al mondo per un finale in poesia.