In tempi di emergenza coronavirus arriva una sentenza che fa discutere. Matrimonio annullato per una coppia entrata in crisi dopo anni di matrimonio e 3 figli.
Una crisi di coppia scatenata anche dall’omosessualità della donna. Lo ha deciso con un’ordinanza la prima sezione civile della Cassazione che ha convalidato il riconoscimento dell’efficacia nell’ordinamento italiano di una sentenza ecclesiastica. Che nel 2012, stabilisce infatti la nullità di un matrimonio celebrato nel 1990.
Le motivazioni dei giudici. Le toghe della Suprema Corte di fatto hanno respinto il ricorso presentato dalla Procura Generale della Cassazione
Nel quale, oltre al rilievo per cui si era fuori da quei “paletti” posti dalla giurisprudenza che non ammettono annullamento di un matrimonio con oltre 3 anni di convivenza. Si sottolineava inoltre che “l’unica ragione fondante la decisione del giudice ecclesiastico, che si muove tra giudizio e pregiudizio, è l’omosessualità della signora. Biasimata a causa del suo orientamento sessuale e per questo considerata affetta da disturbo grave della personalità”.
Il parere del Pg. Francesca Cerioni, magistrato di Cassazione specializzato in diritto della famiglia e delle persone, aveva scritto
“E’ stato violato il limite dell’ordine pubblico interno e internazionale, con riferimento al diritto fondamentale di vivere liberamente la vita sessuale ed affettiva sancito dalla Costituzione, dalla Cedu e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Nonché con riferimento al principio di non discriminazione”. Ecco perché il Procuratore generale si era opposto parlando di decisione “discriminatoria della libertà sessuale e affettiva” della donna considerata, dalla sentenza emessa dal Tribunale ecclesiastico regionale della Puglia e recepita dalla Corte di Appello di Lecce nel 2017, come affetta da “malattia psichica”.
Ricorso rigettato. Per i giudici, invece, il “vizio di nullità del matrimonio è dipeso dalle condotte di entrambi i coniugi. In base a quanto accertato nella sentenza impugnata per cui non rivestono rilevanza alcuna, nella specie, il principio di non discriminazione o il diritto di vivere liberamente la vita sessuale ed affettiva nel senso prospettato nel ricorso”. E come detto, è già polemica per questa sentenza.