Flash mob, chef Pomata “non chiediamo elemosine”
Dpcm: duecento ristoratori seduti in piazza del Carmine a Cagliari per protestare contro la chiusura di bar e ristoranti alle 18.
Hanno apparecchiato per terra con tanto di tovaglie, calici e posate per far partire un messaggio anche dalla Sardegna: “siamo a terra”. “Dopo il lockdown – spiega all’ANSA lo chef Luigi Pomata – ho dovuto dimezzare posti a sedere, ne ho tolto 44, posti di lavoro, da 40 a 19, e dimezzato gli incassi. Non chiediamo elemosina, ma almeno non fateci pagare le tasse. I ristoranti sono sicuri. Con la chiusura, poi – avverte – pagano il conto anche tanti altri: dai tassisti ai negozi di abbigliamento, chi ha più voglia di comprarsi qualcosa se non può uscire?”.
Una manifestazione silenziosa e pacifica
In duecento, solo una delegazione delle migliaia di imprenditori costretti al mini lockdown, si sono ritrovati in piazza del Carmine. Presente anche il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu. Subito un momento commovente con il saluto e l’applauso per ricordare Carlo Livinio, il titolare del bar cagliaritano Lima Lima, prima vittima del Covid in Sardegna. “Siamo di fronte a una ‘febbre’ anche economica, oggi non ce la facciamo più. Se anche la chiusura sarà spostata alle 23, secondo le indiscrezioni che arrivano sulla prossima ordinanza regionale, il problema rimarrà”.
Solo a Cagliari oggi si contano 1.402 locali, di cui 871 ristoranti e 499 bar, il resto sono catering e mense. “Abbiamo chiesto di eliminare subito l’Irap – ricorda Bertolotti – odiosissima imposta. Inoltre, di declinare in salsa sarda i provvedimenti del governo con contributi a fondo perduto per i ristoratori“. Il sindaco Truzzu ha sottolineato il valore della manifestazione. “La città – assicura- vi è vicina: siete una parte importante della nostra comunità. Vedere dopo le 18 una città spettrale è una ferita aperta”.
I centri sportivi: monta la protesta
Dpcm: associazioni degli sportivi in piazza per dire no alla chiusura di palestre, piscine e centri fitness disposta dall’ultimo Dpcm. Atleti e gestori delle strutture di tutta la Sardegna si sono riuniti sotto il palazzo del Consiglio regionale a Cagliari. “Rivendichiamo il nostro diritto al lavoro perché ci sentiamo presi di mira – ha commentato all’ANSA Matteo Cois, portavoce delle associazioni e degli atleti che oggi manifestano contro il decreto del governo e gestore di un centro danza a Quartu Sant’Elena – da marzo a oggi le perdite sono state molto di più degli indennizzi arrivati”.
Le perdite reali
La categoria è una di quelle che più ha lavorato per seguire alla lettera i protocolli di sicurezza, che più ha investito in sanificazioni e per mettersi a norma: “I centri sportivi sono come delle bomboniere, tale è la cura e il rispetto delle regole”. Ieri, ha aggiunto Cois, “il ministro ha parlato di nuovi rimborsi, ma a noi non servono gli 800 euro perché c’è chi gestisce gli impianti sportivi che con questa cifra non ci fanno nulla: serve un calcolo esatto delle perdite e va comparato con l’indennizzo che arriva”. D’altra parte, “una struttura di cento metri quadri non può essere paragonata a una polisportiva di mille”.
Inoltre, “le perdite reali sono anche quelle degli allievi dopo il Dpcm: chiudere significa perdere l’anno accademico, oltretutto e ci verranno chieste le quote indietro”. Insomma, “abbiamo faticato per riconquistare gli iscritti dopo la prima chiusura, e adesso ci ritroviamo a interrompere l’attività, rischiando di perdere un altro anno di lavoro mandando sul lastrico intere famiglie che hanno fatto dello sport il loro mestiere”.