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Gap di genere, discriminazioni, violenza nello sport

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Gap di genere, discriminazioni, violenza nello sport
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In collaborazione con il Network InDifesa Terre des Hommes, Unica Radio racconta: La condizione delle bambine e delle ragazze nel mondo

Kathrine Switzer alla Maratona di Boston del 1967. Vestito di nero il giudice di gara, che prova invano a strapparle il numero di gara perché donna e non ammessa a partecipare. Sulla destra, la reazione di un corridore al tentativo del giudice.

Sport e progresso sociale

Lo sport è un potente strumento per la crescita dei giovani, rafforzando il fisico e aumentando la loro autostima e socialità. Ma può servire anche a colmare il gap di genere, per arrivare ad un mondo più inclusivo e con più opportunità per tutti. A prescindere dalla nazione, dalla cultura o dallo status di provenienza. Nel XX secolo si è iniziato a percepire un cambiamento rispetto al modello di società prevalentemente maschilista, con importanti conquiste da parte delle donne, anche se l’edonismo ostentato e la spettacolarizzazione dell’apparire degli ultimi anni, oltre all’attuale situazione pandemica, sta destabilizzando i progressi fatti in questo senso.

A livello sportivo – o meglio, da quando gli eventi sportivi hanno iniziato ad avere un certo rilievo internazionale – si stanno comunque compiendo degli sforzi importanti, a livello organizzativo e di iniziative. Basti pensare alle Olimpiadi dell’era moderna, nella prima edizione di Atene 1896 riservate ai soli uomini. Fino ad arrivare ai giochi di Londra 2012 dove le donne costituiscono il 45% degli atleti, e dove è stato introdotto per la prima volta il pugilato femminile, l’ultima disciplina ancora riservata ai soli atleti maschi. I giochi di Londra hanno avuto un altro primato: per la prima volta tutte le Nazioni iscritte presentano almeno una donna nella loro delegazione.

Gender gap In Italia

Anche in Italia si sono fatti numerosi progressi, soprattutto dal 1985, anno in cui la UISP presentò la Carta dei Diritti delle donne nello sport. Purtroppo le discrepanze in termini di pari opportunità continuano ad esistere.

A partire dal gender gap salariale e dallo status economico. L’esempio della maggior disparità è dato dallo sport di maggior interesse negli stati industrializzati, ovvero il calcio. In Italia le calciatrici lottano per ottenere lo status di professionismo, e ciclicamente questo problema viene portato all’attenzione collettiva. L’industria calcio è il quinto indotto per fatturato del paese, e la forbice continua ad aumentare, sia fra calcio maschile e calcio femminile, sia tra squadre di élite e piccoli club.

La discrepanza più importante resta comunque a livello di stereotipi di genere e di bodyshaming. In materia di storytelling e di giornalismo sportivo si sta cercando, grazie all’operato di GIULIA (GIornaliste Unite Libere Autonome), di andare verso la direzione di un linguaggio che superi stereotipi e pregiudizi, e si concentri invece sulle prestazioni e le capacità delle atlete, come si fa del resto per gli uomini.

Altri passi in avanti sono stati fatti nel 2020. Unar, UISP e Lunaria hanno firmato un protocollo d’intesa per monitorare episodi di discriminazione e intolleranza. La nascita dell’Osservatorio è una novità assoluta in Europa, e si occuperà principalmente dello sport amatoriale e dilettantistico. Èqui infatti che si registra la maggior parte degli episodi, e dove si formano i giovani sportivi di domani. Un altro obiettivo dell’Osservatorio è quello di promuovere la cultura del rispetto per il prossimo e l’accoglienza, favorendo conseguentemente la riduzione del gap di genere. 

Storie di riscatto

Lo sport, inoltre, deve cercare di tirar fuori il talento e il meglio da tutti, anche e soprattutto da chi non ha le possibilità economiche o di visibilità, oppure non ha delle conoscenze o delle esperienze fortunate. Questo purtroppo è una delle principali cause di abbandono e di mancato inizio di un’attività sportiva ad alti livelli, insieme al gap di genere. Non ci sono tantissime storie di riscatto sociale grazie ai successi sportivi, ma quelle che sono accadute sono davvero esaltanti.

Come quella di Kathrine Virginia Switzer, la prima donna a partecipare alla famosa Boston Marathon nonostante gli ostacoli durante il percorso di gara. Riuscì poi a diventare giornalista e scrittrice, e arrivò poi a vincere finalmente una maratona, finalmente con le donne ammesse in gara, a New York nel ’74.

Oppure la mitica Wilma Rudolph, che riuscì a superare la poliomielite e, malgrado l’esclusione sociale e la segregazione razziale, andò a vincere tre ori a Roma 1960.

E ancora, la nostra Josefa Idem. Campionessa olimpica, trentotto medaglie tra Europei, Mondiali e Olimpiadi, di cui è recordwoman di presenze con otto partecipazioni. Nel mezzo, due figli e una carriera politica, seppur breve.

Per citare esempi più recenti ma meno conosciuti, il caso della libanese Doumouh Al Bakkar. In un contesto di guerra civile e di tensione perenne nella sua terra natìa, prima giocatrice di calcio, poi allenatrice e infine arbitro di successo. 

Tutte storie, queste, che servono come monito universale per non arrendersi mai di fronte ai gap di genere e se si ha un obiettivo ben preciso, e di come la lotta per il proprio successo e per il proprio rispetto sia indispensabile da perseguire in maniera assidua e costante. Questo soprattutto in un mondo che prende iniziative ma ancora stenta a far sensibilizzare universalmente su questi temi così cruciali, nello sport come nella vita di tutti i giorni.

About Nicola Fois

Studente di Comunicazione. Appassionato di lingue, sport, musica e di tutta la letteratura riguardante questi temi

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