Uno studio condotto da dei ricercatori rivela che gli anticorpi IgG si decompongono molto più lentamente di quelli IgG e IgA
Lo ha annunciato un nuovo studio condotto da ricercatori dell’ISGlobal di Barcellona.
Gli anticorpi IgG (Immunoglobuline quantitative) dunque, si rivelano in questo senso molto più “resistenti” degli anticorpi IgA e IgM in quanto quest’ultimi sembrano invece decomporsi molto più rapidamente.
Il discorso degli anticorpi ha scatenato le domande degli esperti. Capire se le persone infettate possono poi essere protette dalle future reinfezioni risulta infatti molto importante. Purtroppo in tal senso ci sono state risposte contrastanti dal mondo della ricerca.
I ricercatori in questo caso hanno pubblicato i dati dopo tre mesi di follow-up su una popolazione di operatori sanitari in Spagna. Per misurare i livelli delle tre tipologie di anticorpi (IgM, IgG e IgA), i ricercatori hanno utilizzato un test immunitario funzionante tramite tecnologia Luminex.
I ricercatori scoprivano che, circa il 60% delle nuove infezioni, un mese dopo la valutazione iniziale di sieroprevalenza all’inizio di aprile del 2020, era asintomatica.
Lo studio
Alberto García-Basteiro, uno dei ricercatori impegnati nello studio, aggiunge: “In un mese, abbiamo riscontrato 25 nuove infezioni tra i partecipanti, il che è piuttosto alto, considerando che il picco della pandemia era passato e la popolazione era stata confinata per più di un mese”.
I ricercatori scoprivano che entro il terzo mese dall’inizio dell’infezione, il 78% dei soggetti analizzati non mostrava più livelli rilevabili di IgM. Il 24% non aveva più IgA rilevabili mentre il 97% manteneva livelli rivelabili di IgG.
In alcuni dei soggetti, gli stessi livelli di anticorpi IgG risultavano addirittura aumentati rispetto alla prima analisi.
I risultati e le conferme
Gemma Moncunill, la prima autrice dello studio, dichiara che questi risultati confermano che i livelli di anticorpi IgM e IgA tendono a diminuire dopo il primo mese. A volte accade anche dopo il secondo mese a seguito dell’infezione, diversamente dai livelli di IgG. Si tratta di un’informazione che potrebbe rivelarsi importante soprattutto quando si fanno analisi per capire se una persona è stata infettata o meno in passato.
I ricercatori stanno comunque continuando a seguire la stessa popolazione di soggetti ad alto rischio (operatori sanitari) per capire l’evoluzione della sieroprevalenza e soprattutto la durata degli anticorpi rilevabili.