Finalmente sappiamo cosa fa il Covid-19 all’olfatto, e per quanto tempo
La perdita dell’olfatto è così diffusa tra i malati di Covid che, come scrivevamo qualche giorno fa, nell’ambito scientifico e medico si è pensato di poter affiancare la misurazione della febbre a dei test che misurino se si sentono o meno gli odori. Questo perché si stima che tra il 65 e l’80 per cento dei positivi sperimentano questo disturbo. Una percentuale molto ampia, basti pensare che solo il 40 per cento dei positivi ha la febbre, cioè circa la metà.
Ciò che però non si sapeva è il motivo di questa perdita. L’olfatto è un senso che coinvolge diverse aree del nostro corpo. Alcuni tessuti che tutti noi abbiamo all’interno del naso, alcuni particolari recettori e infine il cervello, che è l’organo a cui spetta l’elaborazione e l’interpretazione dei sensi. La domanda che si sono posti medici e ricercatori, quindi, è stata sin da subito questa. Il nuovo coronavirus attacca solamente i tessuti e i recettori, o attraverso questi è capace di farsi spazio fino al cervello?
La seconda ipotesi è la più pericolosa
Se il virus avesse davvero un duro impatto sul cervello umano allora potremmo avere a che fare con danni visibili a lungo termine. A non escludere questa ipotesi è Nicolas Meunier, neuroscienziato e ricercatore presso l’Università parigina “Paris-Saclay”. In uno studio fatto su dei criceti ha monitorato l’effetto del Sars-CoV-2 sia a livello nasale che neuronale. Nello studio l’anosmia (il nome scientifico per la perdita dell’olfatto) appare come un possibile fattore di rischio per alcune malattie neurodegenerative, come il Parkinson. Secondo il ricercatore, infatti, ci sarebbero dei precedenti. Perché in passato dopo alcune pandemie, come quella del 1919, si è verificato un aumento dell’incidenza del morbo. “Sarebbe davvero preoccupante se qualcosa di simile stesse accadendo oggi”, ha detto il ricercatore in una recente intervista riportata da Scientific American.
Ma va precisato che siamo nel campo delle possibilità, e c’è chi è molto scettico riguardo il rapporto tra infezione da Nuovo coronavirus e incidenza di malattie neurodegenerative. Come Carol Yan, una rinologa che lavora a San Diego, all’Università della California, Yan pensa che il rischio di questo legame sia da prendere con le molle: “c’è certamente un legame tra anosmia e malattie, ma pensiamo che la perdita dell’olfatto indotta dal virus sia un meccanismo completamente diverso” dice la studiosa, e aggiunge: “avere un’anosmia post-virale non comporta necessariamente un rischio maggiore di altre malattie, si tratta di due fenomeni completamente separati”.
Carol Yan
Sempre Carol Yan sottolinea però come ci siano altri rischi dovuti alla perdita dell’olfatto che non riguardano questo tipo di malattie. Secondo la ricercatrice l’anosmia, in ogni caso, “aumenta la mortalità” e lo fa per il semplice fatto che non sentire gli odori è estremamente pericoloso, sia per l’alimentazione (spesso l’olfatto è l’unico modo che abbiamo per capire se il cibo è andato a male) che nella vita di tutti i giorni, come sapere se c’è una fuga di gas. Questa condizione può anche causare “astinenza sociale o deficit nutrizionali”, perché non riconoscere odori, profumi e puzze ci rende difficilmente adattabili alla vita in società.