Con il Covid aumenta il rischio di isolamento e di cyberbullismo, i ragazzi hanno sempre più difficoltà a immaginare il proprio futuro
Con il Covid aumenta il rischio di isolamento e di cyberbullismo, i ragazzi hanno sempre più difficoltà a immaginare il proprio futuro. Sei ore al giorno davanti allo schermo per la didattica a distanza. Poi pomeriggi interi on line per studiare o chattare con gli amici. Le scuole sono chiuse, anche piscine e palestre. Le vite dei ragazzi durante la pandemia sono sempre più nella piazza virtuale ed è lì che per loro si gioca tutto. Qualche rara passeggiata all’aria aperta, ma per il resto tutto è fatto di bit. Tanto che per il 36% potrebbe essere utile un’app con la quale affrontare i genitori.
Sono i dati che emergono da un sondaggio dell’Associazione nazionale dipendenze tecnologiche, GAP e cyberbullismo. Sondaggio condotto in collaborazione con il portale Skuola.net e con Vrai. Lo studio è stato condotto su un campione di 3.115 studenti di età tra 11 e 19 anni.
Una richiesta di aiuto
Tra i tanti bisogni che ha fatto emergere questa pandemia, c’è quello di ricevere una buona educazione al digitale. Un’esigenza sentita dal 77% dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni. “Chiedono a noi adulti, genitori, insegnanti, educatori, di prenderci cura della loro vita. – Spiega Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta, docente universitario, e presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te. – Nell’educazione digitale rientrano anche temi come la sessualità, l’identità sessuale. Temi di cui non si parla più tanto e di cui, invece, i ragazzi vogliono sapere. Introdurre l’educazione digitale, potrebbe essere uno strumento di supporto ai cambiamenti che ci troveremo ad affrontare. Non solo sociali, relazionali, ma anche lavorativi da qui in avanti”.
La sessualità esibita
Il 26,2% dei giovani intervistati dichiara di aver inviato proprie foto o video intimi via chat o Social. Il sesso è sempre più virtuale ed esibito. “E’ un tipo di sessualità in parte legata alla realtà virtuale. E ancora, in parte legata al fatto che oggi la sessualità viene continuamente mostrata e remunerata. Non solo i ragazzi possono accedere facilmente a siti porno, soft e hard. Ma nella pubblicità e nei programmi tv la sessualità viene esibita. E ancora viene considerata una via attraverso cui ci si può affermare e avere successo. Un successo che può essere monetizzato. Il porno divo Rocco Siffredi è stato presentato nei talk show come un modello di riferimento. Idem per le veline che si agitano in atteggiamenti seduttivi e per gli attori del Grande Fratello e simili”. Queste le parole di Anna Oliverio Ferraris. Psicologa, psicoterapeuta e professore ordinario di Psicologia dello sviluppo all’Università della Sapienza di Roma. Gli adolescenti finiscono così per emulare i comportamenti di divi e attori.
Una vita troppo sedentaria
I ragazzi sembrano rendersi conto di quanto sia importante approfondire la conoscenza dei social e del computer. Quattro quinti dei ragazzi chiede lezioni di educazione digitale a scuola. Tra gli studenti delle medie, di età tra gli 11 e i 13 anni, l’esigenza è sentita dall’83%. Questo anche per proteggersi dagli episodi di cyberbullismo. “Questo avviene perché ora i ragazzi passano più tempo di prima di fronte al computer e con lo smartphone. Conducono una vita sedentaria e isolata, del tutto inadatta alla loro età. Così accumulano tensione, nervosismo, insoddisfazione che poi alcuni sfogano facendo degli ‘scherzi’ on-line. ‘Scherzi’ di cui non sempre colgono la reale portata. Perché attraverso quegli interventi lesivi nei confronti degli altri traggono soddisfazione. E la soddisfazione mette in ombra il danno che stanno facendo”.
L’app in famiglia
Gli adolescenti vivono ‘immersi’ nella tecnologia. Per questo sognano un’app anche per confrontarsi con i genitori. Sembra che sia svanito il dialogo reale con madri e padri. Dunque che tutto passi on line, fra sms e videochat. “Esiste ancora, ma tutti questi elementi importantissimi della vita reale non vengono utilizzati in tutta la loro potenzialità. A volte vengono usati non in modo inadeguato. I ragazzi chiedono ancora confini e limiti, anche se in apparenza non sembra così. E li chiedono per sentirsi protetti. Ecco perché pensano che affidandosi al mezzo tecnologico, a un’app, possano essere poi compresi meglio dagli adulti. Quelli che non hanno ancora ben chiara la via di mezzo tra l’analogico e il digitale”
I rischi della comunicazione on line
L’app diventa così una sorta di ‘mediatore familiare’. “L’app potrà essere utile. Nel contempo bisognerà lavorare anche sulla genitorialità e sulla comunicazione in famiglia. Soprattutto per sviluppare di più l’empatia, il problem solving, la gestione del tempo insieme. E ancora tutti gli altri aspetti che possono contribuire a migliorare le relazioni. Non solo in casa, ma anche fuori. Il 60,4% chiede un’app per conoscere se fa un uso corretto dello strumento tecnologico. Non che non ce ne siano già. Ciò che stanno chiedendo i giovani è come poter affrontare il fatto che ne stiano facendo un abuso o un uso scorretto”.
Tutti questi strumenti, se non usati in modo corretto, possono provocare danni. “L’app potrebbe svolgere la funzione di uno schermo/maschera che facilita la comunicazione con i genitori diventata difficile in presenza. Non solo. L’app indirizzerebbe anche il confronto tra genitori e figli. Potrebbe essere uno strattagemma iniziale. Certo se la comunicazione genitori e figli dovesse continuare dietro una maschera sarebbe preoccupante. Perché indicherebbe una distanza persistente”.
La Dad
Dal sondaggio emerge inoltre una riflessione sulla didattica a distanza (Dad). “Va assolutamente considerata come una soluzione di emergenza. Questo perché manca un elemento fondamentale della relazione educativa: la presenza fisica. L’immaterialità della relazione digitale ci libera da tutta una serie di freni inibitori scatenando fenomeni feroci. Tra questi, l’hate speech o il cyberbullismo”, fa notare Grassucci. “Viene meno quel clima sociale che in classe stimola, integra, motiva. Vengono anche meno, in molti casi, gli orari che obbligano i ragazzi ad alzarsi e ad uscire di casa.
Non trascurabili sono anche i problemi fisici legati alla vista e alla postura fissa per ore di fronte allo schermo. Ecco perché bisognerebbe fare di tutto per ridurre il numero delle ore in Dad e favorire il rientro a scuola dei ragazzi. Nei casi più difficili si può pensare a una didattica mista. Dunque con ritorni a scuola in alcune ore del giorno. O ancora, per alcune mezze giornate alla settimana. Il problema centrale sono i trasporti. Ad esso si potrebbe rimediare utilizzando gli autobus turistici. Quelli attualmente fermi a causa della pandemia”, aggiunge Oliverio Ferraris.
Il tempo on line
Fra l’altro la didattica a distanza ha bisogno di altri ritmi rispetto a quelli della classe in presenza. “Servono lezioni più dinamiche, più energiche, più capaci di incuriosire, più coinvolgenti. Quelli che i ragazzi credono essere scherzi, in realtà sono atti aggressivi. La messa online o in chat di una foto e/o di video senza il permesso dell’altro è cyberbullismo. Inoltre, queste immagini rischiano di rimanere nel web per sempre. Con tutte le conseguenze immaginabili”, aggiunge Lavenia.
Ragazzi hikikomori
A seguito di episodi di cyberbullismo, il 45,9% degli intervistati nella fascia di età tra gli 11 e i 13 anni, il 53,4% dei ragazzi tra i 14 e i 16 anni, e il 65,9% dei giovani tra i 17 e i 19 anni dice che vuole rimanere chiuso in casa. Aumenta l’autoisolamento. “Questo fenomeno si verifica per due motivi. La mancanza di prossimità con l’altro e il trauma subito – aggiunge Lavenia. – Questo è un periodo dove sono presenti entrambi motivi. Gli effetti della pandemia stanno lasciando strascichi di paure enormi. Adulti e ragazzi hanno paura di uscire di casa. Sta mancando da tanto tempo il contatto con gli altri: sono fatturi che non faranno abbassare il bisogno di autoisolarsi. E a supporto di questo si aggiunge che è cresciuta la difficoltà a immaginare un domani”.
La sindrome della capanna
In questi casi molti esperti definiscono questo isolamento come ‘sindrome della capanna’. “Si verifica quando bambini e ragazzi si abituano a restare rintanati in casa, nel bozzolo protetto della famiglia. Dopo alcune settimane sviluppano timori e paure nei confronti del mondo esterno. Lo identificano con il pericolo. Cosicché anche quando potrebbero uscire, preferiscono restare a casa di fronte al computer o alla play station. Non per studiare ma per fare un videogioco. O ancora, per guardare una di quelle serie televisive straripanti di sollecitazioni sensoriali, emotive e sessuali”.
Come vedono il futuro
Rispetto ai dati di giugno scorso (47,5%), sono aumentati del 20% i ragazzi che non riescono a immaginare il loro futuro a seguito della pandemia. “I ragazzi possono essere molti diversi nelle loro aspirazioni. Molti pensano di poter uscire al più presto dalla pandemia e riprendere la vita di prima. Altri sono intimoriti e si rifugiano in un tipo di vita confinata tra le quattro mura – conclude Oliverio Ferraris –. Molto dipende dal clima che c’è in famiglia e che i genitori trasmettono ai figli”.