La sessualità esibita

Il 26,2% dei giovani intervistati dichiara di aver inviato proprie foto o video intimi via chat o Social. Il sesso è sempre più virtuale ed esibito. “E’ un tipo di sessualità in parte legata alla realtà virtuale. E ancora, in parte legata al fatto che oggi la sessualità viene continuamente mostrata e remunerata. Non solo i ragazzi possono accedere facilmente a siti porno, soft e hard. Ma nella pubblicità e nei programmi tv la sessualità viene esibita. E ancora viene considerata una via attraverso cui ci si può affermare e avere successo. Un successo che può essere monetizzato. Il porno divo Rocco Siffredi è stato presentato nei talk show come un modello di riferimento. Idem per le veline che si agitano in atteggiamenti seduttivi e per gli attori del Grande Fratello e simili”. Queste le parole di Anna Oliverio Ferraris. Psicologa, psicoterapeuta e professore ordinario di Psicologia dello sviluppo all’Università della Sapienza di Roma. Gli adolescenti finiscono così per emulare i comportamenti di divi e attori.

Una vita troppo sedentaria

I ragazzi sembrano rendersi conto di quanto sia importante approfondire la conoscenza dei social e del computer. Quattro quinti dei ragazzi chiede lezioni di educazione digitale a scuola. Tra gli studenti delle medie, di età tra gli 11 e i 13 anni, l’esigenza è sentita dall’83%. Questo anche per proteggersi dagli episodi di cyberbullismo. “Questo avviene perché ora i ragazzi passano più tempo di prima di fronte al computer e con lo smartphone. Conducono una vita sedentaria e isolata, del tutto inadatta alla loro età. Così accumulano tensione, nervosismo, insoddisfazione che poi alcuni sfogano facendo degli ‘scherzi’ on-line. ‘Scherzi’ di cui non sempre colgono la reale portata. Perché attraverso quegli interventi lesivi nei confronti degli altri traggono soddisfazione. E la soddisfazione mette in ombra il danno che stanno facendo”.

L’app in famiglia

Gli adolescenti vivono ‘immersi’ nella tecnologia. Per questo sognano un’app anche per confrontarsi con i genitori. Sembra che sia svanito il dialogo reale con madri e padri. Dunque che tutto passi on line, fra sms e videochat. “Esiste ancora, ma tutti questi elementi importantissimi della vita reale non vengono utilizzati in tutta la loro potenzialità. A volte vengono usati non in modo inadeguato. I ragazzi chiedono ancora confini e limiti, anche se in apparenza non sembra così. E li chiedono per sentirsi protetti. Ecco perché pensano che affidandosi al mezzo tecnologico, a un’app, possano essere poi compresi meglio dagli adulti. Quelli che non hanno ancora ben chiara la via di mezzo tra l’analogico e il digitale”

I rischi della comunicazione on line

L’app diventa così una sorta di ‘mediatore familiare’. “L’app potrà essere utile. Nel contempo bisognerà lavorare anche sulla genitorialità e sulla comunicazione in famiglia. Soprattutto per sviluppare di più l’empatia, il problem solving, la gestione del tempo insieme. E ancora tutti gli altri aspetti che possono contribuire a migliorare le relazioni. Non solo in casa, ma anche fuori. Il 60,4% chiede un’app per conoscere se fa un uso corretto dello strumento tecnologico. Non che non ce ne siano già. Ciò che stanno chiedendo i giovani è come poter affrontare il fatto che ne stiano facendo un abuso o un uso scorretto”.

Tutti questi strumenti, se non usati in modo corretto, possono provocare danni. “L’app potrebbe svolgere la funzione di uno schermo/maschera che facilita la comunicazione con i genitori diventata difficile in presenza. Non solo. L’app indirizzerebbe anche il confronto tra genitori e figli. Potrebbe essere uno strattagemma iniziale. Certo se la comunicazione genitori e figli dovesse continuare dietro una maschera sarebbe preoccupante. Perché indicherebbe una distanza persistente”.

La Dad

Dal sondaggio emerge inoltre una riflessione sulla didattica a distanza (Dad)Va assolutamente considerata come una soluzione di emergenza. Questo perché manca un elemento fondamentale della relazione educativa: la presenza fisica. L’immaterialità della relazione digitale ci libera da tutta una serie di freni inibitori scatenando fenomeni feroci. Tra questi, l’hate speech o il cyberbullismo”, fa notare Grassucci. “Viene meno quel clima sociale che in classe stimola, integra, motiva. Vengono anche meno, in molti casi, gli orari che obbligano i ragazzi ad alzarsi e ad uscire di casa.

Non trascurabili sono anche i problemi fisici legati alla vista e alla postura fissa per ore di fronte allo schermo. Ecco perché bisognerebbe fare di tutto per ridurre il numero delle ore in Dad e favorire il rientro a scuola dei ragazzi. Nei casi più difficili si può pensare a una didattica mista. Dunque con ritorni a scuola in alcune ore del giorno. O ancora, per alcune mezze giornate alla settimana. Il problema centrale sono i trasporti. Ad esso si potrebbe rimediare utilizzando gli autobus turistici. Quelli attualmente fermi a causa della pandemia”, aggiunge Oliverio Ferraris.

Il tempo on line

Fra l’altro la didattica a distanza ha bisogno di altri ritmi rispetto a quelli della classe in presenza. “Servono lezioni più dinamiche, più energiche, più capaci di incuriosire, più coinvolgenti. Quelli che i ragazzi credono essere scherzi, in realtà sono atti aggressivi. La messa online o in chat di una foto e/o di video senza il permesso dell’altro è cyberbullismo. Inoltre, queste immagini rischiano di rimanere nel web per sempre. Con tutte le conseguenze immaginabili”, aggiunge Lavenia.

Ragazzi hikikomori

A seguito di episodi di cyberbullismo, il 45,9% degli intervistati nella fascia di età tra gli 11 e i 13 anni, il 53,4% dei ragazzi tra i 14 e i 16 anni, e il 65,9% dei giovani tra i 17 e i 19 anni dice che vuole rimanere chiuso in casa. Aumenta l’autoisolamento. “Questo fenomeno si verifica per due motivi. La mancanza di prossimità con l’altro e il trauma subito –  aggiunge Lavenia. – Questo è un periodo dove sono presenti entrambi motivi. Gli effetti della pandemia stanno lasciando strascichi di paure enormi. Adulti e ragazzi hanno paura di uscire di casa. Sta mancando da tanto tempo il contatto con gli altri: sono fatturi che non faranno abbassare il bisogno di autoisolarsi. E a supporto di questo si aggiunge che è cresciuta la difficoltà a immaginare un domani”.

La sindrome della capanna

In questi casi molti esperti definiscono questo isolamento come ‘sindrome della capanna’. “Si verifica quando bambini e ragazzi si abituano a restare rintanati in casa, nel bozzolo protetto della famiglia. Dopo alcune settimane sviluppano timori e paure nei confronti del mondo esterno. Lo identificano con il pericolo. Cosicché anche quando potrebbero uscire, preferiscono restare a casa di fronte al computer o alla play station. Non per studiare ma per fare un videogioco. O ancora, per guardare una di quelle serie televisive straripanti di sollecitazioni sensoriali, emotive e sessuali”.

Come vedono il futuro

Rispetto ai dati di giugno scorso (47,5%), sono aumentati del 20% i ragazzi che non riescono a immaginare il loro futuro a seguito della pandemia. “I ragazzi possono essere molti diversi nelle loro aspirazioni. Molti pensano di poter uscire al più presto dalla pandemia e riprendere la vita di prima. Altri sono intimoriti e si rifugiano in un tipo di vita confinata tra le quattro mura – conclude Oliverio Ferraris –. Molto dipende dal clima che c’è in famiglia e che i genitori trasmettono ai figli”.