Si chiama PLCKESZ G286.6-31.3 ed è un ammasso che ospita fino a 1000 galassie, oltre ad una grande quantità di gas bollente e di materia oscura.
Un esteso ammasso di galassie che si trova ai margini della Grande Nube di Magellano, una delle galassie satelliti della Via Lattea; immortalata grazie alle potenzialità dello strumento Wide-Field Imager, montato sul telescopio MPG/ESO di 2,2 metri. Gli astronomi raccontano che, soprattutto in una prima fase, individuare questo ammasso è stato particolarmente difficile. Dopo, una volta scoperto, se ne è potuto distinguere un discreto raggruppamento di galassie giallastre, visibili al centro dell’immagine. Gli esperti hanno spiegato ancora che PLCKESZ G286.6-31.3 ospita, infatti, fino a 1000 galassie, oltre ad una grande quantità di gas bollente e di materia oscura. In virtù delle rilevazioni effettuate, è stato stabilito che l’ammasso vanta una massa totale di 530 bilioni di volte la massa del Sole.
PLCKESZ G286.6-31.3 è situato ai margini della Grande Nube di Magellano, una galassia nana, che ha una massa equivalente a circa 10 miliardi di volte quella del Sole (1010 masse solari); pari a circa un decimo della massa della Via Lattea, ossia circa 20 miliardi di stelle, con un diametro di circa 14 000 anni-luce. La Grande Nube di Magellano, in inglese “Large Magellanic Cloud” o LMC, ospita più di 700 ammassi stellari; oltre a centinaia di migliaia di stelle giganti e super-giganti. Tra l’altro, sottolineano ulteriormente gli esperti, la maggior parte degli oggetti cosmici visibili nell’immagine diffusa dall’Eso sono stelle e ammassi di stelle che si trovano proprio all’interno di LMC.
Un telescopio particolare
Lo scatto è stato ottenuto, come anticipato, dal telescopio MPG/ESO di 2,2 metri; in funzione dal 1984 presso il La Silla Observatory, un osservatorio astronomico situato sul Cerro La Silla, nel sud del deserto dell’Atacama, in Cile. Questo telescopio è stato già protagonista di una serie di studi scientifici importanti, spiegano gli esperti; tra cui una ricerca rivoluzionaria sui lampi gamma, le esplosioni più potenti dell’universo. Lo studio era stato realizzato grazie al Wide Field Imager (WFI) con i suoi 67 milioni pixel, che aveva ripreso dettagliate immagini di oggetti molto deboli e distanti dalla Terra.