Sabato 3 marzo dalle ore 19, allo Spazio (In)Visibile, il finissage della mostra partecipata “Sono nelle tue mani” di Josephine Sassu, a cura di Roberta Vanali.
“Sono nelle tue mani” è un work in progress pensato per lo Spazio InVisibile, finalizzato a coinvolgere il pubblico che da spettatore si fa interprete. L’invitato è infatti autorizzato ad interagire con le opere in mostra per crearne delle nuove. L’accezione è quella di “arte relazionale”, dove ad essere prodotta non è l’opera.
Il finissage si presenta quindi allo scopo come una sorta di gioco che sottolinea o abbatte il confine tra essere artista e non esserlo. Il confine tra labile e inviolabile, InVisibile o inesistente, il bello e il brutto. Il tutto mischiando dei “giochi” di plastilina.
“Dopo l’istituto d’arte ho fatto molta fatica a rientrare nei ranghi del foglio e matita, nel restituire la visione della realtà tramite il segno grafico. Poi ho riscoperto la materia e mi sono quasi stupita della mia capacità di creare forme anche molto naturalistiche”. Josephine Sassu, attraverso una serie di medium espressivi che vanno dal disegno all’installazione, dal cucito alla scultura, avvia un processo creativo volto a identificare aspetti diametralmente opposti alla realtà.
Una visione effimera e romantica che si oppone alla pesantezza dei nostri tempi, all’omologazione che permea la società contemporanea per vivere nell’illusione che tutto sia poesia. I campi d’azione dell’artista sono molteplici e nel suo linguaggio espressivo prevale una struttura fondata sull’ambiguità e sul perpetuante raffronto tra gli opposti. Tra bene e male, tra cielo e terra. Tra vita e morte.
“Gli animali sono la cosa più umana e tenera che ancora si possa incontrare al mondo”. Apparentemente leziosi, gli animali di Josephine Sassu giocano sulla ambivalenza della rappresentazione, sulla bidimensionalità e sulla tridimensionalità di una superficie che prima di essere fisica è mentale.
Sia che si tratti di gatti, coccodrilli, uccelli, insetti o belve feroci, immersi nei loro habitat, l’artista attinge al bestiario di Fancello e al modellato di Nivola. Riesce così a dare vita ad una atmosfera sospesa tra ingenuità e un vago senso di inquietudine che confluisce in una dimensione grottesca. Un immaginario fantastico che è metafora della vita ma anche pretesto per giungere alla libertà del fare artistico. Una concezione del fare che va al di là della struttura concettuale dell’opera.
L’obiettivo primario è accorciare le distanze tra l’artista e lo spettatore, sovvertire le regole e percepire l’opera in tutta la sua forza ma anche in tutta la sua fragilità. Una fragilità che origina dalla componente effimera, costante nella produzione dell’artista, ma che incarna anche la radicata fragilità dell’esistenza, la fugacità del tempo e della vita stessa. Pertanto, non stupisce che le opere siano sapientemente custodite, isolate e protette da campane in vetro. “La fragilità del mio lavoro è la fragilità stessa della vita, dello stare al mondo: la consapevolezza che rispetto all’universo si è meno che briciole”.