MADAME MARGUERITE, monologo tragi-comico per una donna impetuosa, è il titolo della nuova produzione de La Fabbrica Illuminata
MADAME MARGUERITE, monologo tragi-comico per una donna impetuosa, è il titolo della nuova produzione de La Fabbrica Illuminata (coprodotta con l’associazione Puntila), tratta dal testo del 1973 di Roberto Athayde, drammaturgo, scrittore, poeta e cineasta brasiliano, tradotto da Mariella Fenoglio, con Elena Pau, chiamata a una prova d’attrice davvero impegnativa, nel ruolo della protagonista e Jackson Adzovic in quello dell’allievo. La regia è di Marco Parodi, l’impianto scenico e i costumi di Salvatore Aresu. Lo spettacolo va in scena a Cagliari al T.off (in via Nazario Sauro, 6) domani, sabato 9, alle 21, e domenica 10 giugno, alle 20. Un testo, “La signora Margherita”, che ha rappresentato il cavallo di battaglia di mostri sacri del teatro in Italia e all’estero, come Anna Proclemer (nel 1975 lo portò al festival di Spoleto, e poi a Roma e Milano), e Annie Girardot (nel ‘74 a Parigi, al Theatre de la Gaité di Montparnasse), che lo riprese anche a distanza di 26 anni dal suo debutto.
Un monologo intenso che ha per protagonista un’insegnante, scritto da Athayde quando in Brasile governava la dittatura militare. Non a caso, nel delineare questa figura, che diventa metafora, l’autore non pensa soltanto all’istituzione scolastica ma alle svariate forme che può assumere l’autorità. Alle coercizioni più sottili, alle strutture educative che non possono non essere impositive e verticali.
La scena
La scena si svolge per intero in un’aula scolastica – che rispecchia il potere della famiglia, dello stato sui cittadini e quello dell’attore sul pubblico – di cui la bizzarra insegnante, sospinta dal tornado wagneriano della “Cavalcata delle Walchirie”, prende violentemente possesso dopo essersi telegraficamente presentata, scrivendo a tutte lettere sulla lavagna la parola “culo”; e disegnando, poi, con nonchalance e altrettanto chiaramente, quello che la metà maschile del genere umano si porta nella parte davanti, definendolo, con un’immagine geografica quasi poetica, “il Capo di Buona Speranza”. Tutto questo crea il clima di una apparente commedia. Ma, in realtà, si tratta di un soliloquio massacrante, che passa come un tritasassi sulla platea, che rimane allibita e intimorita. In cattedra la Signora Margherita, la Maestra, straripante, e feroce. A subirla gli alunni di una quinta classe elementare, maltrattati, basiti, che non osano fiatare, a cui la delirante insegnante impartisce, a suon di ingiurie, sevizie e violenze, le basi del vivere sedicente civile: dalla biologia all’evoluzione, dall’aritmetica alla semantica, e così via. Sotto un inflessibile e minaccioso moralismo Marguerite nasconde un subconscio disturbato, ossessionato anche da un erotismo malrepresso. In un monologo che esprime la sua paranoia schizofrenica e che trae ispirazione da un maestro del teatro dell’assurdo come Eugène Ionesco