In alcuni casi le opere appaiono come il risultato di un movimento di rotazione, in altri come l’esito di un accumulo, in altri ancora di tagli e torsioni esercitati sulla materia. Si sviluppano in verticale sfidando apparentemente la gravità (è il caso delle due alte colonne lignee di Pair, 2015, o dell’esile spirale d’acciaio di Zimt, 2014), oppure offrono allo sguardo una molteplicità di anfratti e stratificazioni (Caught Dreaming, 2006); o ancora disegnano strutture permeabili alla luce e all’atmosfera (Hedge, 2008).
Eredi della teatralità barocca, della capacità di interazione con lo spazio del Minimalismo, del dinamismo futurista, i lavori di Cragg fanno appello, al di là della dimensione visiva, a quelle tattile e motoria: sono oggetti cinestetici le cui superfici invitano al tocco e le cui forme chiamano in causa il corpo del visitatore, guidandone i passi nell’ambiente.
In genere si tende a pensare alla scultura come a un puro fatto di forma, massa e volume; nel caso di Cragg tuttavia la qualità della superficie, la sua consistenza e il suo colore sono altrettanto importanti. Forme tra loro affini ci colpiscono come totalmente differenti grazie alle variazioni di finitura che rendono la pelle della scultura di volta in volta calda o fredda, liscia o ruvida, lucida o opaca.