Il messaggio emerso dal convegno estivo dei docenti di Economia degli intermediari finanziari, a Cagliari. Innovazione e formazione indicati come pilastri fondamentali per la ripresa economica
Bisogna rafforzare il rapporto tra banca e impresa: questo il messaggio emerso dalla prima tavola rotonda del convegno dell’ADEIMF, l’associazione dei docenti di Economia degli intermediari finanziari, in corso a Cagliari fino a domattina. “Bisogna lavorare sulla struttura finanziaria delle imprese – è stato il richiamo di Francesca Brunori, Direttore Credito e Finanza di Confindustria – Ma serve un assetto ragionevole e non necessariamente stringente”.
Il mix proposto dall’appuntamento organizzato da Riccardo De Lisa e Luca Piras, è stato aperto dai saluti di Aldo Pavan, direttore del Dipartimento di Scienze economiche e aziendali, e ha visto interventi di alto profilo, in un confronto, moderato da Maurizio Murgia (Libera Università di Bolzano) tra esperti e operatori di un settore alle prese con sfide sempre nuove. “In Italia c’è una consapevolezza ancora scarsa e un approccio di attesa, non so quanto strategico, rispetto alla dirompenza del fenomeno della digitalizzazione del settore finanziario – ha avvertito Cristiana Schena, docente dell’Università dell’Insubria – In Inghilterra c’è l’obbligo per le banche che decidono di non finanziare le imprese medio-piccole di segnalare questo diniego alle piattaforme digitali: è un mondo che viaggia ormai a livello sovranazionale. E c’è un tema fiscale ancora più pesante”.
“Ho la sensazione che in Italia – ha proseguito la docente – gli intermediari creditizi piccoli stiano sottovalutando il fenomeno, ma è importante capire che il business model si sta modificando radicalmente, sovvertendo una serie di regole che non erano state messe più in discussione. Si tratta di piccole realtà che hanno già messo in campo filiere di credito in cui intervengono gli investitori istituzionali, e stanno determinando una catena complessa e diversa dalla classica relazione bancaria basata sull’assunzione e sulla gestione del rischio di credito”.
“La banca ha mutato nella storia le sue funzioni – ha spiegato Gianfranco Torriero, vice direttore generale ABI – Oggi la prima sfida da affrontare è la situazione data dall’attuale ripresa dell’economia, anche se con tassi di crescita del PIL bassi, intorno all’1%. Bassi investimenti, bassa crescita del PIL: servono politiche economiche indirizzate ad affrontare queste condizioni. Bisogna capire come determinare un efficientamento dei margini bancari. Dobbiamo cercare di capire se la scelta bancocentrica del nostro Paese è poi così deleteria: l’Italia ha mostrato una maggiore tenuta rispetto ai mercati. Con Confindustria non lavoriamo sulla media delle imprese, ma sulla loro distribuzione e sulle loro necessità. I finanziamenti bancari alle imprese sfiorano i mille miliardi, da quando sono stati introdotti i minibond hanno raccolto 16,9 miliardi: numeri che fanno capire che solo il ruolo delle banche può creare le giuste condizioni. I nostri elementi di contesto sono diversi dagli altri Paesi, quindi servono normative adeguate alla nostra situazione”.
In questo sono fondamentali strumenti di recente introduzione: “Private equity, venture capital – li ha indicati la dottoressa Brunori – Non c’è dubbio che il nostro Paese sia indietro, ma abbiamo fatto significativi passi avanti”.
Enrico Duranti, Direttore generale ICCREA-Bancaimpresa, ha invece sottolineato la necessità di “costringere le imprese ad una maggiore trasparenza. Altrimenti non si potrà superare il livello umano di valutazione del rischio legato ai finanziamenti da erogare, senza correre il rischio di buttare il bambino con l’acqua sporca. Il direttore di una BCC non accetterà mai di essere valutato da una macchina. Stiamo cercando di fare qualcosa di diverso dalle grandi banche: non abbiamo altra scelta, non possiamo fare la copia di competitors così tanto più avanti di noi. Immaginiamo banche locali, un po’ più grandi e di numero un po’ più ridotto di quello attuale in modo da creare al proprio interno competenze professionali più accurate. Dobbiamo aumentare la competenza dentro le nostre banche locali dando un servizio molto più vicino all’imprenditore”.
“Il problema è la dimensione delle imprese – ha rimarcato Pierluigi Monceri, Direttore regionale Lazio Sardegna e Sicilia Intesa San Paolo – Il nostro è un Paese affetto da nanismo imprenditoriale: il 60% degli addetti della Sardegna lavora in aziende con meno di 10 addetti, mentre la media del Paese è intorno ai 50. Un tempo ‘piccolo era bello’, oggi possiamo dire che le aziende che sono riuscite a superare questo periodo di difficoltà di mercato sono accomunate dall’essersi spinte sull’innovazione e sui flussi di esportazione, che non va più solo su Francia e Spagna: dall’anno scorso il 51% dell’esportazione è verso i Paesi emergenti. La capacità di esportare è fondamentale per le imprese”.
“Il piccolo resta un valore importante – ha aggiunto Monceri – perché offre flessibilità, meno burocrazia, più creatività, coinvolgimento e passione difficili da trovare nelle grandi aziende. Ma il piccolo deve essere valorizzato attraverso strumenti che oggi ci sono: le reti di impresa – in Italia oggi sono 40 mila, in Sardegna sono 600 – sono state un buon tentativo di creare amalgama mettendo insieme aziende che dovevano rafforzarsi e sono riuscite a farlo. Un esercizio mai semplicissimo: chi c’è riuscito è convinto che altrimenti si sarebbe trovato difficoltà. L’altro tema è quello delle filiere, un altro spunto interessante per portare a valore le aziende di piccole dimensioni portandolo a quella del capofila. Ne abbiamo 600 in Italia, per 80 miliardi di fatturato e oltre 200mila dipendenti”.