Una volta raggiunto telefonicamente Nicola Arata – membro degli Ararat Ensemble Orchestra – lo abbiamo intervistato per farci raccontare le impressioni legate alla loro partecipazione al Premio Andrea Parodi 2018.
Per gli Ararat Ensemble Orchestra -una formazione di tredici musicisti di cui alcuni polistrumentisti, con un’esperienza nel campo del teatro sperimentale e dell’improvvisazione- il premio Parodi rappresenta il primo festival a cui hanno partecipato come concorrenti e non come semplici ospiti. Ci dicono sia stata un’ottima occasione di crescita e di confronto, che gli ha dato la possibilità di mettersi finalmente alla prova.
Il brano portato in gara è Nietaan, estratto dal secondo disco dell’Ensemble, dal titolo Esodi – trilogia dei popoli in fuga, comprendente tre diverse Suite, che rappresentano il lavoro del gruppo negli ultimi tre anni di attività. Il testo è stato scritto da Aliou Ndiaye, musicista senegalese con cui il gruppo collabora, il quale, purtroppo, non ha potuto partecipare all’undicesima edizione del Premio Parodi insieme agli altri perché non gli è stato rilasciato il visto necessario per recarsi in Italia. In realtà, la mancanza di un componente essenziale come Aliou, assolutamente inaspettata, ha comportato non pochi problemi organizzativi legati all’esecuzione del brano, essendo assente la voce principale, e un evidente senso di ingiustizia nel godersi un momento importante che avrebbe meritato la presenza di tutti e una condivisione a 360°.
Aliou è un griot, un cantastorie, un poeta d’occasione, erede di un’antica famiglia di musicisti e poeti: si tratta di un mestiere che si tramanda di padre in figlio. Fa parte dell’Orchestra Nazionale del Senegal e collabora con l’Ararat Ensemble Orchestra da tre anni, dopo un incontro avvenuto alla Fabbrica del Vapore – centro polifunzionale di Milano – grazie all’intermediazione di Sunugal, un’associazione che si occupa di dialogo interculturale.
Nel testo si parla principalmente del fenomeno delle migrazioni, della necessità di scappare anche quando si sa di vivere in una terra bellissima che però sembra avere sempre qualcosa in meno rispetto ai miti delle terre lontane. Sarebbe invece bellissimo se tutti potessimo vivere la terra che ci ha dato i natali e riappropriarci della stessa, spesso saccheggiata e sfruttata dai potenti che la rendono invivibile, rischiando la vita nel tentativo, spesso vano, di condurre un’esistenza dignitosa altrove.