“Io di chi sono?”, emozionante pièce firmata Bocheteatro in scena al Centro Culturale di Dorgali
Focus sull’affido familiare con “Io di chi sono?” – piece originale scritta e interpretata da Monica Corimbi per la regia di Giovanni Carroni (produzione Bocheteatro) – in cartellone DOMANI (sabato 23 marzo) alle 21 all’Auditorium / Centro Culturale di Dorgali sotto le insegne della Stagione de La Grande Prosa organizzata dal CeDAC in collaborazione con Mousikè – nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna.
Una storia emblematica per raccontare un’esperienza umana straordinaria e insieme naturale fondata sull’accoglienza e la generosità: offrire una casa e un sostegno a bambine e bambini provenienti da ambienti familiari “difficili” o comunque non in grado di accudirli in modo adeguato, per un periodo più o meno breve, richiede una speciale sensibilità e disponibilità all’ascolto e alla comprensione, con la consapevolezza che si tratta di una condizione temporanea – anche se a volte può sfociare in un’adozione.
Un dono d’affetto che scaturisce dalla solidarietà e dall’istinto di protezione verso i “cuccioli della specie” che ha in Sardegna radici antiche come l’usanza di accogliere e crescere come “fill’e anima” le creature nate in seno a famiglie numerose con poche risorse o rimaste orfane – al di là dei vincoli di parentela. Un’idea di famiglia “allargata” sulla base della responsabilità verso i piccoli e degli affetti che si ritrova in varie forme nei vari continenti, laddove l’obbligo sociale garantisce ai bambini il sostentamento, anche se non necessariamente l’amore di cui hanno bisogno, accanto alle istituzioni come gli orfanostrofi che molto difficilmente possono sostituire adeguatamente la dimensione familiare.
Nell’affidamento è invece implicito uno slancio del cuore e una volontà di inserire i bambini in un contesto familiare senza recidere i legami con la famiglia di origine – se non in casi estremi e particolarmente drammatici – e offrire loro l’opportunità di crescere in un ambiente sereno e protetto, con tutta la dolcezza e l’attenzione, le cure e l’affetto indispensabili per garantire un armonioso sviluppo della personalità, evitando o riducendo il trauma di un distacco necessario, normalmente temporaneo, talvolta più prolungato, da una situazione problematica – senza che ciò significhi una definitiva separazione dai genitori e dalla famiglia d’origine.
Sulla spinta di un interesse personale e del desiderio di approfondire una tematica di forte attualità nella società italiana contemporanea, l’attrice e autrice Monica Corimbi ha raccolto storie e testimonianzze, indagando motivazioni e evoluzioni di vicende particolari, per riunirle in un’unica narrazione, dando vita a una storia in cui si fondono immaginazione e realtà. “Io di chi sono?” è quindi un viaggio nell’universo delle famiglie affidatarie, in cui più degli aspetti pratici sono in gioco sentimenti ed emozioni e le trame del reale si rivelano spesso più avvincenti delle invenzioni letterarie, o cinematografiche, come moderne favole (non sempre) a lieto fine.
Un argomento affascinante e complesso perché ogni “caso” fa storia a sé, è il frutto di un incontro, di un’alchimia tra chi diventa genitore per scelta e chi si trova a confrontarsi con un nuovo ambiente, con una madre e.o un padre, magari con fratelli e sorelle, fino a quel momento sconosciuti, con abitudini e stili di vita almeno in parte differenti da quelli noti, con una nuova famiglia, un nuovo ambiente, a volte un’altra città. L’inserimento è un processo graduale, misurato sulla situazione delle bambine e dei bambini, ma soprattutto sul loro carattere e le loro esigenze, nel tentativo di ritrovare o costruire un equilibrio che li riporti il più possibile dentro una “normalità” per farli sentire finalmente “a casa”. Non come ospiti o estranei ma come parte della famiglia, senza smarrire la loro identità ma pure senza il peso di una “diversità” rispetto ai loro coetanei: il fine è proprio quello di recuperare la dimensione del quotidiano, in una risposta al disagio che sia il più possibile inclusiva, come in un grande abbraccio.