Il regista Ado Hasanovic, tra gli ospiti del penultimo appuntamento di Musica e Storia, racconta l’esperienza della guerra in Bosnia
«Ci ho lavorato due anni ed è stato difficile perché prima di allora non avevo mai studiato cinema». Queste le parole del regista bosniaco classe 1986, Ado Hasanovic, in merito a “L’angelo di Srebrenica”, cortometraggio prodotto nove anni fa nel suo Paese. Il film sarà proiettato sabato 30 marzo a Palazzo Siotto in occasione del prossimo appuntamento di Musica e Storia, incentrato questa volta sulla guerra in Bosnia degli anni Novanta.
Il cortometraggio, dedicato al genocidio di Srebrenica, non contiene dialoghi e descrive il drammatico cambiamento vissuto dalla sua città natale: «L’angelo non è altro che una metafora, rappresenta una persona che visita Srebrenica dopo tutto ciò che è successo durante la guerra», spiega Ado Hasanovic.
La tragica esperienza da cui il regista è sopravvissuto ha influenzato non soltanto la sua vita giovanile, ma anche il suo lavoro: su 15 cortometraggi realizzati finora, sono infatti 4 quelli relativi alla guerra in Bosnia tra il 1992 e il 1995. Un lavoro tuttavia caratterizzato da una prospettiva diversa rispetto a quella a cui siamo generalmente abituati: «Per me è importante raccontare queste cose dal punto di vista di un bambino che è sopravvissuto. Altri registi decidono di mostrare la morte, invece nel mio corto non c’è sangue, non ci sono fucili, non ci sono fosse comuni. Il mio è un cinema intimo».
Con la rassegna Musica e Storia, il regista bosniaco per la prima volta dopo diversi anni in Italia, ha la possibilità di parlare del suo Paese e di ciò che è accaduto negli anni Novanta: «A me fa molto piacere condividere la mia storia. In tanti quando sono arrivato mi chiedevano perché fossi felice, come mai avessi sempre il sorriso. E io rispondevo: “Perché sto bene e sono vivo”. Questa è la forza della vita, la felicità si nasconde nelle piccole cose».