Tra vita e sogno con Beatitudo della Compagnia della Fortezza in cartellone da mercoledì 24 aprile alle 20.30 fino a domenica 28 aprile
Una pièce visionaria ispirata all’opera di Jorge Luis Borges – con drammaturgia e regia di Armando Punzo – per un avvincente itinerario alla (ri)scoperta della complessità della natura umana e delle molteplici possibilità del reale, oltre i rassicuranti confini dell’abitudine, dopo la caduta delle illusioni, verso una nuova – realizzabile – utopia.
“Beatitudo” descrive la “ricerca della felicità”, una naturale aspirazione individuale non sempre agevolmente conciliabile con le istanze della società, tra il miraggio della libertà oltre le sbarre e la consapevolezza di un mondo interiore non soggetto a regole o barriere esterne: un evocativo racconto per quadri, con un sapiente intreccio di parole, suoni e immagini, su un tema fondamentale ma elusivo, quasi a comporre un inedito e coinvolgente “inno alla gioia”. Focus sul significato dell’esistenza e sulle potenzialità inespresse e la capacità di ciascuno di ripensare la propria storia e immergersi in proiezioni fantastiche per sfuggire alla desolazione e all’amarezza del presente.
Sotto i riflettori insieme con Armando Punzo gli attori-detenuti della Compagnia della Fortezza – nata poco più di trent’anni fa, nel 1988, all’interno della Casa di Reclusione di Volterra, dall’incontro tra il drammaturgo e regista partenopeo e la comunità carceraria per un percorso laboratoriale, trasformatosi in un progetto di ricerca teatrale con una duplice, forte connotazione etica e estetica. Una cifra decisamente contemporanea per la sfida riuscita di dar vita a un teatro d’arte in grado di raccontare l’attualità e affrontare gli enigmi e le contraddizioni del cuore umano attraverso capolavori antichi e moderni – da testi emblematici come il “Marat-Sade” di Peter Weiss e “The Brig” di Kenneth H. Brown, “I Negri” di Jean Genet e il provocatorio “Insulti al pubblico” di Peter Handke al reiterato confronto con i drammi shakespeariani – con le mises en scène di “Macbeth”, “Amleto”, e poi “Romeo e Giulietta – Mercuzio non vuole morire” e “Mercuzio non vuole morire – La vera tragedia in Romeo e Giulietta”. Un ideale dialogo a distanza con il Bardo che passa anche per “Hamlice – Saggio sulla fine di una civiltà” – in un gioco di specchi tra il principe danese e l’eroina del romanzo di Lewis Carroll – fino a “Shakespeare know well” e “Dopo la Tempesta. L’opera segreta di Shakespeare” in cui si mette in discussione quell’universo a misura d’uomo, con vizi e debolezze in cui è fin troppo facile riconoscersi, per provare a esplorare altre possibilità nascoste del reale – quasi un preludio necessario alla scrittura di Borges.
Tra i sentieri percorsi dalla Compagnia della Fortezza, la satira pungente de “I Pescecani ovvero quello che resta di Bertolt Brecht”, dopo le voci e i suoni de “L’Opera da tre soldi” da Bertolt Brecht, ma anche la crisi – artistica e umana – in “P.P.Pasolini ovvero Elogio al disimpegno” a fronte della constatazione, inserita nelle note di regia, che «Il ruolo di un poeta non è quello di morire per gli altri e di fornire parole, è innanzitutto vivere come esempio nella propria opera, fornire contraddizioni folgoranti, lottare contro il vuoto, l’amnesia, la morte». E ancora i grandi poemi epici – dall’ “Eneide” all’ “Orlando Furioso” – e l’irriverenza e il capovolgimento della realtà in “Budini, capretti, capponi e grassi signori ovvero La Scuola dei Buffoni”, liberamente ispirato alle avventure di Gargantua e Pantagruele firmate da François Rabelais, “Il sogno di Faust” da Fernando Pessoa e il duplice omaggio a Jean Genet – “commediante e martire”, simbolo del sacrificio tra estasi e oblio – in “Santo Genet”. “Un silenzio straordinario” – distillato dal teatro di Samuel Beckett rappresenta l’isolamento del carcere mentre il tema della giustizia e di una possibile salvezza emerge in “Appunti per un film”, accanto agli elementi del fantastico della crudele metamorfosi al contrario di “Pinocchio. Lo Spettacolo della Ragione”.
Il teatro è luogo della creazione e spazio di ritrovata libertà, per spiriti e corpi “imprigionati” concretamente dentro le mura di un carcere o metaforicamente all’esterno, dove regnano i ritmi incalzanti dettati dai cicli di produzione, nell’orgia del consumismo più sfrenato, di un’umanità alienata e incapace di ribellione, senza più desideri né ideali.
“Beatitudo” – secondo “capitolo” del viaggio nell’universo di Jorge Luis Borges intrapreso nell’ambito del “Progetto Hybris” in occasione del trent’anni della Compagnia della Fortezza dopo “Le parole lievi. Cerco il volto che avevo prima che il mondo fosse creato” – si interroga (e “ci” interroga) sulle alternative possibili e le vite ipotetiche nascoste nelle pieghe della realtà. La pièce attinge all’immaginario di uno dei maestri del “realismo magico” e ai suoi personaggi, che provengono da epoche diverse quasi a voler rappresentare sulla pagina l’intero cosmo, la summa dei temperamenti e delle esperienze, tra il peso della conoscenza e il piacere dell’oblio. «Tra queste innumerevoli figure, così fortunatamente lontane dai caratteri della vita» – ricorda il regista Armando Punzo – «ce n’è una, Funes, che vuole liberarsi della sua memoria sterminata e rinominare il mondo. Sarebbe giusto, auspicabile, vivere nelle innumerevoli possibilità, obliandosi, fuori dalla storia e ancora di più dalla vanità della propria storia. Fondiamo la nostra vita su quello che siamo, non su quello che potremmo essere. E in questa staticità perdiamo il gusto del rischio di essere come non sapremo mai. Il voler dimenticare di Funes è il nostro desiderio di poter vivere al di fuori della vita passata, futura e presente».
L’arte di Borges rompe gli schemi noti e offre uno sguardo sull’ignoto, attraverso creature e trame inventate, accanto a inedite e improbabili geografie: «i luoghi dei suoi racconti e delle sue poesie non si prestano alla narrazione, non si materializzano in coordinate tangibili», ricorda Punzo. «La biblioteca, il labirinto, l’infinito, lo specchio, il giardino dei sentieri che si biforcano, le rovine circolari sono i protagonisti principali del mondo di Borges, il seme delle sue più profonde riflessioni, i luoghi di un’altra vita, circostanze innaturali che sospendono il tempo e donano un profondo senso di inadeguatezza».
«Voleva sognare un uomo, sognarlo con minuziosa interezza, e imporlo alla realtà»: l’ambizione del protagonista de “Le rovine circolari” – in “Finzioni” di Jorge Luis Borges – si compie nella Compagnia della Fortezza, con la creazione di uno spazio di libertà dentro il carcere da cui scaturisce paradossalmente una “ricerca della felicità” a partire da un luogo simbolo di costrizione e espiazione, che corrisponde alla (ri)fondazione di una nuova umanità attraverso le parole e i simboli, ovvero la provocazione intellettuale e artistica – in certo senso “politica” e “profetica” – di una moderna “Beatitudo”.