Al Teatro Massimo di Cagliari va in scena “Beatitudo” con gli attori-detenuti della “Compagnia della Fortezza”
Ha debuttato mercoledì 24 aprile alle h. 20:30, al Teatro Massimo di Cagliari, la “Compagnia della Fortezza” diretta da Armando Punzo nello spettacolo “Beatitudo” in cartellone fino a domenica 28.
Per la prima volta sull’isola ̶ sotto le insegne del Cedac, per l’ultimo appuntamento della stagione 2018/2019 con La Grande Prosa & Teatro Circo organizzata nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna ̶ Armando Punzo, che ne firma la drammaturgia e anche la regia, ha raccontato ai microfoni di Unica Radio come è nato il suo ambizioso progetto che ha recentemente festeggiato i trent’anni di attività.
La “Compagnia della Fortezza” ha infatti visto la luce per caso, nel 1988, a seguito della volontà e della necessità di Punzo di distaccarsi dalle esperienze teatrali fino ad allora conosciute. Il desiderio di allontanarsi dagli attori professionisti e dalle produzioni teatrali tradizionali e/o ufficiali o da quelle che all’epoca erano considerate “sperimentali” lo porta ad avvicinarsi, trovandosi in quel periodo in Toscana, alla Casa di Reclusione di Volterra. Qui, si era appena conclusa un’esperienza importante, quella del “Gruppo Internazionale Avventura” con focus sul lavoro di Grotowsky, che lo convince a voler entrare nel carcere. Dall’incontro con il regista e drammaturgo partenopeo nascerà dapprima un percorso laboratoriale che si trasformerà ben presto in un progetto di ricerca teatrale con una forte connotazione etica ed estetica.
Lo sviluppo
Punzo svilupperà quindi un disegno artistico che non vuole inserire entro i cardini del teatro-sociale, definizione che pare non amare, poiché preferisce pensare che si tratti unicamente e semplicemente di teatro, in grado di raccontare l’attualità e le contraddizioni tipicamente umane attraverso la rilettura di grandi classici: da Shakespeare, passando per Genet e arrivando fino a Borges.
“Beatitudo” è infatti il secondo capitolo del viaggio intrapreso nell’universo di Jorge Luis Borges, all’interno del “Progetto Hybris”, dove ci si interroga sulle alternative possibili e sulle vite ipotetiche che fluiscono tra le crepe di quella che comunemente definiamo “realtà” o più erroneamente “normalità”. La pièce che fedelmente riproduce il “realismo magico” di Borges, rompe gli schemi e ci trascina nella disperata e visionaria ricerca della felicità a partire da un luogo simbolo di costrizione e infelicità, il carcere, per un’evasione molto meno scontata di quella attesa