È andato in scena per la seconda volta, sabato 27 aprile al TdS di Is Mirrionis, A-mare/Marea per una produzione firmata “Teatro dallarmadio”
Dopo il debutto a Villa Pollini, in via Jenner a Cagliari, A-mare/Marea torna sul palco, stavolta, del Teatro del Segno. Con una nuova produzione – meglio collaudata – del Teatro dallarmadio, con drammaturgia di Fabio Marceddu, incipit e finale di Milena Agus, colonna sonora di Antonello Murgia – in scena insieme a Cristiana Cocco e allo stesso Fabio Marceddu -, con la voce fuori campo di Tiziana Pani e il contributo musicale di Alberto Pibiri che scandisce i tempi del prologo e dell’epilogo con le sue melodie jazz, “A-mare/marea” ritorna a far parlare di sé.
Milena Agus ci introduce, accomodante, in un mondo che verrà raccontato da Fabio Marceddu: un eden popolare in cui figure più o meno indistinte lottano contro le intemperie della vita. In una Cagliari così lontana eppure così vicina, interscambiabile con una qualsiasi altra città che si affaccia sul mare, storie di vite disgraziate vengono narrate e inserite in un microcosmo della periferia urbana, dando voce ai loro sogni, disincanti, illusioni e desideri, gioie e dolori, nel tentativo disperato di restare a galla nel mare della miseria che inaspettatamente, per qualcuno, diventa perfino opportunità.
In un immaginario scenico che si affaccia sul passato, Fabio Marceddu lavora nell’interpretare l’(anti) eroe moderno, di pasoliniana memoria, che ripetutamente si ribella a un destino già scritto, ma i cui scarsi risultati lo portano ad abbandonarsi a una pacata rassegnazione. Tutti i miti della Cagliari cittadina e periferica vengono sdoganati in uno spettacolo che è, insieme, lucido, folle, commovente, dissacrante, popolano e sublime.
In una periferia “a sud di nessun nord” il mare riporta alla genesi dell’esistenza; la marea è il grembo materno che mette al mondo e che dolcemente o burrascosamente dapprima accompagna e poi fa naufragare. Le contraddizioni, figlie del tempo, vengono prosaicamente interpretate, sempre a metà tra la tragicità degli eventi e il modo scanzonato di raccontarli, a sottolineare come tragedia e commedia siano figlie della stessa madre.
Il riscatto sociale, anelante e irraggiungibile, riporta alla materialità del fallimento che odora di presente, di unica realtà possibile, da cui pare appunto impossibile affrancarsi. La corsa degli ultimi nella maratona ideale della vita è più faticosa, è disillusa, claudicante davanti alle sempre uguali strutture sociali che contribuiscono a inabissare l’uomo.
La canzone “Esodo”, scritta in latino, frutto di una miscellanea di testi classici, che accompagna la pièce e che racconta i naufragi del mediterraneo di più di 2000 anni fa, richiama l’attenzione sulle vicende contemporanee, sulle disavventure dei popoli in fuga, esempio di una teoria dell’eterno ritorno che rende la storia più attuale che mai.
Su queste note si conclude “A-mare/Marea” che, tra sogno e verghiana realtà, irretisce lo spettatore, il quale affascinato, divertito, commosso, turbato e saziato non può fare altro che raccogliere le terga dolenti davanti a cotanta icastica umanità.