Uno studio dell’Istituto di neuroscienze del Cnr e dell’Università di Firenze, pubblicato su Europace, ha valutato l’impatto della fibrillazione atriale. Con l’invecchiamento generale della popolazione i soggetti affetti in Italia cresceranno dai circa 1,1 milioni attuali, fino a raggiungere 1,9 milioni nel 2060. I casi dei 28 paesi Ue da 7,6 milioni nel 2016 a 14,4 milioni nel 2060. I fattori di rischio richiedono interventi mirati e procedure di screening per un’identificazione precoce
La fibrillazione atriale è la più frequente aritmia cardiaca di rilevanza clinica e presenta una stretta correlazione con l’età avanzata. La sua importanza è legata al fatto di aumentare di ben cinque volte il rischio di ictus cerebrale, seconda causa di morte e prima causa di disabilità nel soggetto adulto-anziano. Da queste premesse si è sviluppato il Progetto “FAI: la Fibrillazione Atriale in Italia” realizzato dall’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-In) e dall’Università di Firenze. La ricerca è stata finanziata dal ministero della Salute, in collaborazione con la Regione Toscana.
“Attualmente in Italia si verificano ogni anno circa 200.000 ictus, con un costo per il Servizio sanitario nazionale che supera i 4 miliardi di euro”, spiegano il coordinatore scientifico Antonio Di Carlo (Cnr-In) ed il responsabile scientifico Domenico Inzitari (Università di Firenze – dipartimento Neurofarba). “Oltre un quarto sono attribuibili a questa aritmia che può provocare la formazione di coaguli all’interno del cuore, in grado di arrivare al cervello causando un ictus che viene quindi definito cardioembolico. Rispetto agli ictus dovuti a cause diverse, quelli di origine cardioembolica hanno un impatto più devastante in termini di disabilità residua e sopravvivenza”.
I dati della ricerca, pubblicati sulla rivista Europace, organo ufficiale della European Society of Cardiology e della European Heart Rhythm Association, hanno consentito di stimare, per la prima volta in Italia, la frequenza della fibrillazione atriale in un campione rappresentativo della popolazione anziana, costituito da 6.000 ultrasessantacinquenni arruolati tra gli assistiti dei medici di medicina generale nelle tre unità operative coinvolte situate in Lombardia, Toscana e Calabria. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a una procedura di screening e successiva conferma clinica. Lo studio è servito inoltre a sviluppare e validare una metodologia direttamente trasferibile ai medici di medicina generale e al servizio sanitario nazionale. L’Italia è uno dei paesi più vecchi del mondo con una percentuale di ultrasessantacinquenni che supera il 21%, pertanto le patologie correlate all’età rivestono una grande importanza per il Servizio sanitario nazionale ed il loro impatto è destinato ad aumentare con l’invecchiamento della popolazione.
“I dati raccolti indicano nella popolazione anziana del nostro paese una frequenza della fibrillazione atriale dell’8,1%”, ha rilevato Antonio Di Carlo. “Questo significa che un anziano su 12 ne è colpito, portando a stimare in circa 1,1 milioni i soggetti affetti da questa aritmia in Italia. Lo studio ha inoltre permesso di dimostrare che, per effetto dei cambiamenti demografici, questi numeri saranno in costante crescita nei prossimi anni, fino a raggiungere 1,9 milioni di casi nel 2060”.
I soggetti anziani colpiti da fibrillazione atriale si configurano dunque quale gruppo di popolazione particolarmente fragile, spesso con difficoltà di accesso a servizi e cure. “Considerando che i pazienti più anziani con fibrillazione atriale sono quelli a maggior rischio di comorbosità e complicanze, il peso di questa aritmia è destinato a crescere enormemente nei prossimi decenni, con un prevedibile aumento degli ictus cardioembolici, di maggior gravità, ponendo delle importanti sfide legate alla prevenzione e al trattamento”, argomentano Di Carlo e Inzitari. “A tale riguardo sono attualmente disponibili terapie efficaci, quali i farmaci anticoagulanti, che permettono di ridurre di circa 2/3 il rischio di ictus in questi pazienti, ma che non sempre sono utilizzate al meglio”.
Adeguate campagne di screening, con il coinvolgimento diretto dei medici di medicina generale, potrebbero consentire un’identificazione precoce della fibrillazione atriale, attraverso una semplice valutazione del polso e successiva esecuzione di un elettrocardiogramma nei soggetti in cui esso risulti irregolare, nell’ottica di ridurre gli ingenti costi sociali e sanitari collegati a questa aritmia e alle sue conseguenze.
Utilizzando le proiezioni demografiche fornite dall’Ufficio europeo di statistica (Eurostat), la ricerca ha permesso anche di stimare i casi di fibrillazione atriale attesi nella popolazione anziana dei 28 paesi dell’Unione Europea. I casi prevalenti nel 2016 risultavano 7,6 milioni, destinati praticamente a raddoppiare fino a 14,4 milioni nel 2060. Nel 2016 in Italia gli ultraottantenni affetti da fibrillazione atriale rappresentavano il 53% dei casi, per effetto dei trend demografici nel 2060 saranno il 69% del totale. In Europa si passerà dal 51% al 65%.
“Alla luce delle considerazioni del Progetto Fai”, conclude Inzitari, “diagnosi precoci, piani terapeutici adeguati e aderenza alla terapia continuano ad essere gli strumenti più idonei per affrontare la patologia che ha per protagonisti, in un rapporto di reciproca mutualità, da un lato il paziente e, dall’altro, il medico di medicina generale”.
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