Il groove del sideB dei Siki, con contaminazioni funky che rimandano alle origini del gruppo
Un viaggio durato oltre un decennio, quello dei Siki, band orgogliosamente made in Cagliari, che l’ha portata un’evoluzione musicale di nome e di fatto. Un piccolo cambio di organico che mantiene i due pilastri del progetto Alessandro Diablo Spedicati e Gianmarco JD Tiki Diana, affiancati dalle chitarre di Samuele Dessì e dai fiati di Maurizio Floris, Emanuele Contis, Matteo Floris e Adriano Sarais.
Un vagare che ha riportato i Siki alle origini, con l’assenza della batteria, ma con una maturità diversa. Si abbandona la rabbia dei pezzi come Umore Nero, la facilità (non nella scelta di inserirlo in scaletta) di Tiffany, per arrivare a una dimensione intima.
Il disco si apre con una bella dichiarazione di intenti: Io sto bene. E si sente, aggiungerei io. Un pezzo disidratato, quasi cosmico, con suoni lunghi che lasciano immaginare al propagarsi delle onde nell’etere.
I testi, come al solito, non vengono lasciati al caso: contengono al loro interno una pesata critica sociale, come nel caso di “disperso”, nel quale l’uomo viene inglobato in un mondo liquido, rivivendo una sindrome di epoca d’oro pur dovendo sottostare all’epoca del confronto e dell’accettazione sociale.
Una nota di merito è l’inclusione di “tropici uno”, tre parole di testo (tre), suggellate da un suono che ricorda il primo Battiato, che raccoglie la dimensione onirica del disco.
Il groove del sideB, con contaminazioni funky che rimandano alle origini del gruppo, parte con “non sia mai” che, a differenza del suono, nasconde parole dure che danno di che riflettere. Fra le altre, contiene anche “nave madre” che da anche il nome al disco.
Una miscellanea di speranza e riflessioni che suona decisamente bene, con un’evoluzione che, sinceramente, non era scontata dopo i pezzi della nuova formazione come “senza casco”.
Lo definiscono un disco “notturno”, io direi invece si tratta di un disco veramente coraggioso, ma adatto a tutte le stagioni. Provate ad esempio ad ascoltarlo mentre vi bevete una birra col tramonto sul Pan di Zucchero e fatemi sapere!
Come tutte le cose nuove, inconsuete e soprattutto inaspettate, necessita uno, due, dieci ascolti per essere compresi fino in fondo e dar modo che quanto scritto e suonato possa sedimentare per dar vita a quei pensieri che ogni artista vorrebbe affiorassero dall’ascolto di un disco.
Ora non resta che aspettare nuove rotte, perché il varo della nave (madre) ha veramente colto nel segno.
Ultima nota di merito, il vinile color rosa e una copertina da una palette di colori che lo rendono un bel pezzo da mettere in bella mostra sopra il giradischi.
Bravi ragazzi, bentornati!