In Sardegna 20 piccole imprese ricche di talento e potenzialità. Matzutzi (Presidente Confartigianato Sardegna): “Strumenti importanti per valorizzare circuiti turistici tradizionali e attività produttive legate alle vacanze e alle tipicità regionali”
Immaginano, progettano, realizzano e commercializzano giochi da tavolo, giocattoli, videogiochi e applicazioni per smartphone ma non disdegnano anche di riprodurre antichi e tradizionali balocchi sardi. Sono una manciata, appena 20 (13 quelle artigiane), le imprese della Sardegna che fabbricano giocattoli, di vecchia e nuova concezione, e giochi per computer e device, micro-realtà, perlopiù autofinanziate, che hanno cominciato a guardarsi intorno e oggi prendono in considerazione anche nuovi business come le applicazioni interattive con finalità non ludiche (marketing, pubblicità, comunicazione)
Sono questi i dati che emergono dall’elaborazione sulle imprese di giochi, giocattoli e videogiochi, realizzata dall’Ufficio Studi di Confartigianato Sardegna su dati Mise-Agenzia delle Dogane e della Guardia di Finanza.
Un settore, quello dei giochi e affini, che nell’Isola impegna una cinquantina di persone ma che nel resto della Penisola vede attive circa 7mila imprese con oltre 18mila addetti, generando un business di 2,8 miliardi di euro.
A livello territoriale, la provincia sarda in cui si concentra il maggior numero di realtà che realizzano balocchi tradizionali e moderni è Sassari, con 9 imprese. Seguono 6 a Cagliari, 3 a Nuoro e 2 a Oristano.
Su questa nicchia di attività si osserva il fenomeno della concorrenza sleale legata alla contraffazione. Nell’Isola, dal 2008 al 2017, sono stati effettuati 55 sequestri in cui sono stati ritirati dal mercato oltre 541 mila giochi e giocattoli contraffatti, il cui valore si stima raggiungere i 2,9 milioni di euro.
Schiacciante la concorrenza di giochi e giocattoli provenienti da mercati esteri, principalmente da Francia, Cina e Germania: nell’ultimo anno sono stati importati sull’Isola per un valore di 1,5 milioni di euro, superiore al valore di 791 mila euro delle esportazioni all’estero di giochi e giocattoli “fatti in” Sardegna, principalmente acquistati da Germania, Polonia e Austria.
“Le aziende sono piccole e snelle nella gestione e nella loro evoluzione – commenta Antonio Matzutzi, Presidente di Confartigianato Imprese Sardegna – ma la cosa molto positiva è che sono ricche di “fosforo” ovvero di talenti 4.0 e con enormi potenzialità, soprattutto nel settore del gaming e nelle applicazioni per smartphone”. “La produzione di videogiochi per device, in Sardegna come nel resto dell’Italia – continua Matzutzi – è un mercato ancora tutto da costruire e sviluppare anche se, negli ultimi 2 anni, è stata interessata da una crescita importante, sia in termini di fatturato, che di addetti”.
Esempi sardi sono il “Tancas”, il Monopoli sardo oppure “Terra libera”, un gioco da tavolo che racconta la Sardegna.
Interessante anche la manifestazione “Montiferru Play”, il primo Festival Sardo dei Giochi da Tavolo, che si terrà domani e dopo a Santu Lussurgiu con decine di “giochi sardi” e centinaia di appassionati.
“In ogni caso, è interessante costatare come, con sempre maggiore frequenza – continua Matzutzi – i giochi e i videogiochi “sardi” puntino a promuovere il nostro patrimonio ambientale, paesaggistico, culturale, archeologico, storico, architettonico e artistico, anche ai fini turistico-culturali”. “Queste produzioni – conclude il Presidente di Confartigianato Sardegna – rappresentano soprattutto un importante strumento per valorizzare molte delle aree attualmente non inserite nei tradizionali circuiti del tempo libero, contribuendo così anche alla fruizione delle attività economiche legate al sistema delle vacanze, non solo su base stagionale. Per questo è importante il loro sviluppo e la loro crescita”.
Secondo il Censimento dei Game Developer a livello nazionale, titolari e addetti hanno una età media di trent’anni: un’azienda su quattro ha più di 5 collaboratori. Anche se i fatturati sono ancora abbastanza bassi, una su due non arriva a 10mila euro di fatturato annuo, il giro d’affari del videogioco italiano è di circa 40 milioni di euro: due anni fa era la metà. Solo il 5% dei game designer indipendenti guadagna oltre un milione.
Da 2 anni, i videogiochi sono inclusi in una politica nazionale pubblica di sostegno a favore dell’industria culturale e creativa. Con un fondo di 400 milioni di euro annui, i produttori e i distributori di videogiochi possono beneficiare concretamente di una serie di misure di sostegno finanziario, coperte attraverso il fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo. La quasi totalità delle realtà produttive opera oggi in ottica multi-piattaforma (tipicamente iOS e Android) e, in media, negli ultimi 3 anni ciascuno di loro ha sviluppato 5 giochi (con punte di 25 giochi in un caso). Ma il dato più interessante è legato a una maggiore consapevolezza sui modelli di business e sulle potenzialità del videogioco come prodotto come generatore di reddito: sia lato produzione che su quello dei finanziamenti.
Crescono anche i bandi pubblici europei, a sostegno dei settori culturali e creativi. Uno di questi, per esempio, eroga contributi a fondo perduto alle imprese che sviluppano e producono videogame per pc, console, dispositivi mobili, tablet e smartphone. Le spese considerate ammissibili sono relative alle attività che riguardano la fase di sviluppo per i progetti: videogiochi narrativi, indipendentemente dalla piattaforma o dal metodo di distribuzione previsto. L’ammontare del contributo finanziario concesso va da un minino 10mila a un massimo di 150mila euro e non può essere superiore al 50% dei costi ammissibili presentati dal produttore.