Nella storia della musica ci sono album che segnano una svolta con la propria uscita. Può essere una svolta di carriera, può essere una svolta musicale o una svolta nell’intero mondo della musica per i Sticky Fingers.
Sticky Fingers è tutto questo e molto altro: un disco che consacra alla leggenda gli Stones, se mai ci fosse bisogno di un’altra conferma. L’uscita di questo album nel 1971 segna innanzitutto il ritorno della band londinese, con una vera svolta di carriera: una nuova formazione, con Mick Taylor alla chitarra, a sostituire il defunto Brian Jones, morto nel 1969. Taylor era già comparso sul precedente Let It Bleed, altro gran disco uscito nel ’69. Ma è con Sticky Fingers che smette di essere un sostituto di Jones e diventa membro della band a tutti gli effetti. Questo cambio di formazione vuol dire anche un cambio di suono: dal 1971, con la morte di Jones, gli Stones non avranno più nei propri dischi quella forte componente psichedelica e esotica che tanto era presente e piaceva a Jones (basti pensare a Their Satanic Majestis Request, disco del ’67).
Se per un attimo mettiamo da parte il suono e stiamo ancora “all’esterno” del disco, troviamo tutta la provocazione e ribellione delle Pietre Rotolanti. Già dal titolo, letteralmente: dita appiccicose, gli Stones si pongono non esattamente come dei lord inglesi. Ma se ancora ci fossero dubbi, arriva la copertina, affidata ad Andy Wharol: una bella foto ravvicinata di un “pacco” maschile, ovviamente dentro un paio di jeans; ma a Jagger e soci la sobrietà non piace e dunque, in una versione speciale del disco, la zip dei pantaloni è vera e si può abbassare.
Aprendo il disco, troviamo subito una tracklist che valse non poche critiche agli Stones: il primo brano in scaletta è Brown Sugar, in gergo l’espressione usata per indicare l’eroina, droga della quale Richards era un gran consumatore all’epoca. Successivamente i cinque di Londra dissero che in realtà lo “zucchero scuro” era una ragazza di colore di cui Jagger si era invaghito. Ma che dire di “Sister Morphine”, ballata presente sul lato B del disco? Il riferimento alla droga è troppo esplicito per cercare di trovare scuse e infatti non se ne trovano.
Restando al look, Sticky Fingers è il primo disco dei Rolling Stones
in cui compare il logo leggendario della linguaccia che da solo basta ad
esprimere tutta l’irriverenza e la sfacciataggine della rock band più
importante di sempre.
Il nuovo suono degli Stones è puro Rock ‘n’ Roll, con quel “twang” della Telecaster di Richards a farla da padrone, come si sente perfettamente in questo album, in riff come quello di Brown Sugar, che apre le danze con la grinta che contraddistingue il gruppo. Keef dirà scherzosamente anni più tardi di odiare ancora Jagger per aver scritto un riff così bello (dai Keith, hai scritto Satisfaction e Jumpin Jack Flash).
Nel disco c’è posto anche per una delle ballate più strappalacrime
della storia della musica: Wild Horses. Qui le Telecaster lasciano il posto
alle chitarre acustiche e il risultato è un brano ormai leggendario, per i fani
degli Stones e non.
Un altro riff di cui Richards può andare fiero è sicuramente Can’t You
Hear Me Knocking? una traccia da sette minuti, assolutamente rock n roll, con
le chitarre che dialogano perfettamente con il cantato di Jagger e un assolo
fantastico, questa volta non di Taylor o Richards, ma di Bobby Keys,
sassofonista americano entrato da poco in formazione.
Questo disco è davvero un punto di svolta, per gli Stones e per la musica tutta: da quel momento fare rock non sarà più la stessa cosa. Si può assolutamente parlare di un prima e dopo Sticky Fingers, di un prima e dopo rock n roll nudo e crudo.
Non vi resta che mettere su il vostro giubbotto di pelle migliore, un paio di jeans attillati, mettere sul piatto questa meraviglia e ballarlo dalla prima all’ultima traccia, parola nostra, non ve ne pentirete.
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