barcones

“Barcones” di Nico Orunesu, a “Buon Compleanno Faber”.

La mostra sarà visitabile in concomitanza con l’ottava edizione di “Buon Compleanno Faber”, dedicato quest’anno a Lorenzo Orsetti e Carola Rackete. “Barcones” sarà alla Casa della Cultura di Monserrato dal 16 al 24 febbraio, e a Sinnai, Biblioteca Comunale, dal 29 febbraio al 16 marzo.

La rassegna si svolge nell’arco di un mese e mezzo. Saranno vari gli ospiti che porteranno la loro testimonianza sulle migrazioni e sul dramma degli attraversamenti dei confini. Da Padre Abba Mussie Zerai a Gian Maria Bellu, da Alessandro Negrini a Giuliana Sgrena. E ancora, i membri degli equipaggi di tre delle navi ONG che operano nel Mediterraneo: Alberto Mallardo per Sea Watch; Riccardo Gatti per Open Arms; Alessandro Fanari per Mediterranea. Fra gli svariati eventi di cinema, musica e le installazioni che danno forma alla rassegna, ci sarà l’esposizione dei 18 dipinti di Nico Orunesu del ciclo “Barcones”.

Col termine “barcone” in bittese vengono chiamati i balconi e, per estensione, le finestre. Bitti, a 40 km da Nuoro, è il paese d’origine del pittore Nico Orunesu, da anni residente a Sassari. “Barcones – viaggio nel profondo blu” è il titolo che Orunesu ha voluto dare ad un ciclo di 18 dipinti. Dipinti che saranno esposti, per la prima volta, in occasione del Festival “Buon Compleanno Faber- sulle rotte di Fabrizio De Andrè”, che si svolge in vari centri dell’area vasta di Cagliari. Quest’anno, alla sua ottava edizione, il festival è dedicato a Lorenzo Orsetti e a Carola Rackete.

La fonte d’ispirazione dell’artista

Dipinti nati anche dall’elaborazione del forte impatto emotivo suscitato nell’artista dalla visione di una serie di foto molto conosciute del fotografo Massimo Sestini. Una in particolare, “Mare Nostrum”, realizzata nel 2014 a largo della Libia, pubblicata fra gli altri da L’Espresso a corredo dei reportage di Fabrizio Gatti. La foto ritrae una barca stracolma di donne, uomini e bambini che volgono lo sguardo verso l’obiettivo del fotografo. L’opera è diventata un’immagine simbolo della tragedia dell’immigrazione. Conosciuta e premiata in tutto il mondo, dal febbraio 2019 si trova in esposizione permanente al Mandela Forum di Firenze.

La nitidezza di quella foto era tale che, le persone, perdevano il carattere di massa indistinta; tanto che lo stesso fotografo lanciò nel 2015 la campagna “Where are you? Dove sei?”, e chiedeva agli occupanti di quella barca che si riconoscevano nella foto, di raccontare la loro storia. Questo lo spunto per il ”pittore” Orunesu, artista conosciuto come un pittore di “terra e di terre” sin dai tempi delle sue pitture su juta. La terra dei miti ancestrali e dell’immaginario che forma l’humus culturale di Orunesu; quella agognata; quella persa, traditrice di sogni e speranze giovanili.

Ma l’immaginario di chi vive il proprio tempo è nutrito anche da suggestioni apparentemente lontane dal proprio substrato culturale; e indubbiamente Orunesu vive pienamente il proprio tempo, anche se la magia della sua pittura sembra portarci spesso in una dimensione atemporale, “inattuale” direbbe qualcuno; una pittura che si interroga su paure e speranze ancestrali. Ma, appunto, presenti in qualsiasi tempo.

Così la visione di una foto spinge il pittore a confrontarsi con colori nuovi e istanze apparentemente lontane dalla terra d’origine. Scoprendo, e facendoci scoprire, che materiali e istanze non sono poi così distanti. Che la forza, i miti, i sogni di chi sale sopra una barca per attraversare un mare sono anche i nostri. E se non lo fossero, devono diventarlo. E se li abbiamo dimenticati o nascosti, dobbiamo ritirarli fuori.

Ed è per questo che abbiamo un disperato bisogno di arte, di musica, film, poesia. Per ricordarci che i vari strati culturali di cui siamo impregnati, in maniera conscia o meno, sono ciò che fanno di noi quel che siamo. E sono ciò che possono fare di noi quel che vogliamo.

Il messaggio di “Barcones”

Nico Orunesu fa poesia e pittura, e lo fa con una solida conoscenza di quanto è stato fatto e detto sulla pittura e sulla poesia. Con un linguaggio inconfondibile e originale, con una tensione creativa che lo fa tornare alle sue tele e a suoi colori ad olio. Il ciclo “Barcones” ci aiuta a riflettere sul significato del vedere e dell’elaborare un dramma come quello delle persone che mettono in gioco tutto attraversando deserti, fiumi, mari, frontiere. Ci aiuta a chiederci cosa vuol dire vedere, magari da un elicottero o con la mediazione di uno schermo televisivo; comunque venire a sapere e, in quanto consapevoli, comunque complici di quanto accade, anche per il solo fatto di godere dei privilegi che determinano tali drammi.

Chiederci cosa significa essere “testimoni”, anche quando testimoniamo con il nostro impegno ma ci sentiamo impotenti, non sufficienti. Lo stesso artista denuncia “l’inutilità” della sua opera: “Musei e biblioteche sono da tempo colmi di quadri e volumi. Ma questi non sono serviti né a riscattare né tantomeno a salvare i destini, sia dell’uomo in generale che quelli degli emarginati e dei discriminati”.

La forza comunicativa della mostra

Ma l‘Associazione Madiba Sinnai , che ha voluto che questi dipinti vengano esposti in questa occasione, sono convinti che non sia del tutto inutile: “Siamo convinti che un’opera d’arte lasci comunque una traccia. Magari, purtroppo, non utile nell’immediato a salvare alcuna vittima, alcun sommerso. Ma forse utile a far riflettere noi, ”carnefici” involontari e impotenti, a darci quei pugni nello stomaco necessari a combattere indifferenza e complicità”. Senza sentirci assolti (direbbe De André) per il fatto che ci emozioniamo davanti a un quadro o a una musica. Ma sempre convinti che si possa ancora “restare, tornare a essere, umani”. A non stare al balcone, per tornare al nome dato al ciclo di dipinti, ma ad aprire porte e finestre.

About Mattia Murru

Ragazzo del centro Sardegna con la mente aperta verso il mondo e la passione per il calcio e la musica.

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