Uno studio sulla storia genetica dei sardi
Un team di ricercatori guidati da Francesco Cucca, professore di Genetica medica dell’Università di Sassari, ha pubblicato sulla rivista Nature Communications uno studio intitolato “Genetic history from the Middle Neolithic to present on the Mediterranean island of Sardinia”.
Lo studio riporta i risultati delle analisi dell’intero genoma sul DNA estratto da resti ossei preistorici di 70 individui provenienti da oltre 20 siti archeologici sardi.
“I primi individui neolitici sardi mostrano una forte affinità genetica con le popolazioni coeve del Mediterraneo occidentale. Inoltre nell’isola si registra una sostanziale continuità genetica fino al periodo nuragico (II millennio a.C.)”, osserva Cucca.
“Comparando i risultati ottenuti dal DNA antico con quelli di migliaia di sardi contemporanei si osservano segnali di flusso genetico da altre popolazioni, provenienti principalmente dal Mediterraneo orientale e settentrionale”. La maggiore continuità genetica della popolazione sarda rispetto ad altre contemporanee è nota. “Per questo i sardi odierni evidenziano un più elevato grado di somiglianza genetica con i campioni di DNA estratto da resti preistorici provenienti dallo stesso territorio ma anche da siti neolitici e pre-neolitici dell’Europa continentale. Lo studio conferma che queste somiglianze sono più marcate nelle aree storicamente più isolate quali l’Ogliastra e la Barbagia”, prosegue il ricercatore.
“I sardi contemporanei rappresentano quindi una riserva di antiche varianti della sequenza del DNA risalenti a linee di ascendenza proto-europea, attualmente molto rare nell’Europa continentale. Lo studio di queste varianti aumenta considerevolmente la comprensione della funzione dei geni e quindi anche dei malfunzionamenti alla base di malattie genetiche”.
Lo studio del DNA antico isolato da campioni acquisiti da siti archeologici, generalmente ossei, è imprescindibile per ricostruire gli eventi demografici del passato e in particolare della preistoria. Il DNA infatti varia in seguito a errori che avvengono durante la sua replicazione, noti come “mutazioni”, i quali si accumulano di generazione in generazione. “Il DNA antico è più degradato rispetto a quello contemporaneo e ciò ha precluso per lungo tempo questo tipo di studi, se non in campioni eccezionalmente preservati come quelli rinvenuti nei ghiacciai o nel permafrost”, conclude Cucca.
“Negli ultimissimi anni lo studio del DNA antico è però stato rivoluzionato da progressi tecnologici che consentono di sequenziare e analizzare frammenti di DNA antico corti e degradati, soprattutto i campioni provenienti dalla rocca petrosa nell’osso temporale che sono meglio preservati, anche in regioni a clima subtropicale-temperato come la Sardegna”.