Bocheteatro di Nuoro: La Grande Prosa & Teatro Circo firmata CeDAC
Fabiana Iacozzilli, regista che porta avanti un lavoro di ricerca improntato sulla drammaturgia scenica e sulle potenzialità espressive della figura del performer e collabora dal 2013 con CrAnPi.
CrAnPi, associazione culturale con cui collabora Fabiana Iacozzilli, si occupa di produzione, promozione e comunicazione teatrale.
Tra le attività degli ultimi anni si segnalano la gestione del Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma; nella produzione degli spettacoli troviamo: “La Classe, un docupuppets per marionette e uomini” di Fabiana Iacozzilli.
“Un docupuppets per marionette e uomini di Fabiana Iacozzilli con pupazzi ipnotici di Fiammetta Mandich, e con cinque tra manovratori e performer, è un raro lavoro che, esplorando i trascorsi adolescenziali dell’ideatrice, collocabili tra 1983 e 1988, ha a sua volta rigenerato in me visioni, poesie, stupori e fascini di due opere estranee tra loro. Un tema intrinseco è citato dalla stessa regista, vale a dire il tema della reviviscenza. Lo strepitoso teatro di figura di oggi mi riporta anche alle microscopiche sagome artigianali della leggendaria “Biancaneve” del Teatro del Carretto.” Rodolfo di Giammarco, la Repubblica.
La Classe
La Classe: un lavoro che prevede un indagine esplorativa nei trascorsi adolescenziali della regista, dal 1983 al 1988.
“Io e altre trenta anime siamo stati gli alunni di una classe elementare in un istituto gestito da suore che oggi ospita una casa per ferie. L’Istituto portava il nome di Suore di Carità. La nostra unica maestra, anche lei suora di carità, dunque era Suor Lidia. Non è stato mai facile per me raccontare gli anni trascorsi in Istituto e la rigidità dell’educazione alla quale ci sottoponevano. A distanza di trent’anni, ho deciso che avrei realizzato uno spettacolo a partire da quei ricordi e mi sono messa alla ricerca dei miei ex compagni, ritenendo indispensabile ricreare quella “comunità”. Per iniziare a ricomporre i tasselli della “storia” li ho intervistati, ponendo loro domande molto semplici: “Com’era Suor Lidia?”; “Cosa ti ricordi di lei?”; “Ti ricordi cosa accadeva in classe?”. Afferma l’ideatrice dello spettacolo.
Parallelamente al lavoro sulle interviste Fiammetta Mandich ha realizzato dei fantocci/burattini a immagine e somiglianza dei compagni della regista, per far interpretare loro gli episodi vissuti tra i sei e i dieci anni di vita.
Docupuppets
L’ opera si presenta come un docupuppets fatto da pupazzi e uomini, ma anche un rito collettivo in cui l’adulto rilegge i ricordi infanzia interpretati da pupazzi in mano a un misterioso deus ex machina. Questi ricordi/ bambini ridotti a marionette, fantocci di gioventù, impotenti si muovono senza pathos su dei tavolacci che ricordano banchi di scuola. Inoltre, intorno solo rumori di matite che scrivono e di compagni che respirano. I genitori sono assenti. Suor Lidia, unica presenza in carne ed ossa, figura di donna o uomo in mezzo a tutti questi oggetti. Lei è generatrice di paura. In sostanza, questa riflessione sul senso profondo del ricordo, in questa ricerca di pezzi di memorie andate, i miei compagni mi hanno aiutato a trovare una rotta e, infine, a comprendere la natura del lavoro. Continua la regista.
La Classe ha trovato il suo vero significato nel momento in cui la regista ha rinunciato a quello che voleva raccontare in origine. A quel punto è emersa una domanda, la domanda intorno alla quale lo stesso spettacolo s’interroga: “che cosa ci facciamo con il dolore?”; “cosa ogni essere umano è in grado di diventare a partire dal proprio dolore?”.
In particolare, la Classe è spettacolo in cui tutti hanno ragione: sia quelli che dicono che nessuno guarisce dalla propria infanzia, sia quelli che dicono che tutto dipende da quello che ci facciamo con la nostra infanzia.