ANDREA ANDRILLO

Stay a casa & press play – Una musica in divenire (Andrea Andrillo)

Questa rubrica, nel tempo della digitalizzazione, vuole proprio svolgere il compito che quelle pagine che accompagnavano il 33 giri ne facevano un disco raccontato e non solo suonato.

Si può dire che Andrillo sia un po’ l’ispiratore di questa rubrica, nata con l’intento, nella routinaria quarantena, di lanciare nell’acqua qualche piccolo sassolino per rompere la monotonia, generando onde concentriche che altro non sono che dischi, tracce e vibrazioni sonore di artisti che spesso sono più vicino a noi di quello che potrebbe sembrare.

Un modo per recuperare il passato nel quale si scartava con minuziosa perizia il vinile appena comprato, se ne estraeva il libretto, e si portava il braccetto del giradischi in posizione d’ascolto.

Andrea Andrillo

Iniziare da Andrea Andrillo è una scelta un po’ di comodo: ho avuto il piacere di conoscerlo tempo fa, in una notte fredda di un dicembre passato a Cabras, vegliando sul sito archeologico dal quale sono riemersi 50 anni fa i Giganti di Mont’e Prama. ed è stato amore a primo ascolto.

Ma perché questo nome così allitterato, Andrea Andrillo?

Andrillo è un modo scherzoso con il quale un collega di Orotelli mi chiamava quando lavoravamo assieme a Olbia, dove mi ero trasferito anni fa. Tornato a Cagliari, dolorosamente rassegnato all’idea di aver finito per sempre di fare musica, mi sono dedicato alla musica altrui in qualità di speaker per una radio web. Mi serviva un nome d’arte, perché non volevo che l’attività extra lavorativa filtrasse in quella lavorativa. Non sai mai che reazione possono avere le persone per le quali lavori. E così è nato Andrillo, che poi nel tempo – un sorso alla volta, come quando nutri uno che moriva di fame – è diventato il mio nuovo me. Il mio cognome nella mia vita precedente alla nascita di Andrillo  me lo ricordo ancora, ovvio, ma a volte mi suona solo come una formalità.

In questo momento in cui siamo tutti a casa, la musica rappresenta forse una maniera di evadere. Penso a “Forse sognare” ad esempio, contenuto in Uomini, bestie ed eroi.

Qual era il messaggio che, fra le note, volevi comunicare?

Il brano che citi sta in apertura di “Uomini, bestie ed eroi”, il mio primo lavoro uscito nel luglio 2018, cui è seguito un altro disco, “Elusive”, nel luglio 2019.
Nel libretto introduttivo al primo lavoro annuncio che sto cominciando una trilogia e annuncio che successivamente lavorerò a un secondo disco (“Elusive”, per l’appunto), che “parlerà” lingue diverse. In ultimo profetizzo, per così dire, un terzo disco nel quale rompendo ogni schema e rinunciando ad ogni residua certezza (poche già da subito, a dire il vero), tornerò a casa dopo aver viaggiato al di là del mare,

Scrivo che quel mio primo disco è fatto di canzoni, certo, ma potrebbero essere “stralci del diario di un disertore” o di un “combattente abbandonato in un deserto urbano”. E in effetti è un disco con il quale in un certo senso, vedendolo col senno di poi, certifico la mia rottura col mondo. Un disco emotivamente saturo..pieno di vibrazioni, anche difficili da digerire, al punto che per non farmi molto, molto male, nel secondo capitolo di quella triologia che andavo a cominciare,  ho cambiato registro.
Malgrado il favore inaspettato, le recensioni sorprendenti e persino il successo commerciale (!!! ) che ha accolto il primo lavoro, mi sarebbe risultato insopportabile fare un altro  “Uomini, bestie ed eroi”. Ho sentito che  mi sarei disintegrato. Per cui mi sono rifugiato in “Elusive”, il secondo lavoro, e ho approfittato del fatto che stavo lavorando alla  colonna sonora di un film (di Giovanni Coda “Mark’s Diary” – una produzione italo-britannica, ndr), per cantare quelle canzoni d’amore che non avrebbero potuto trovare spazio nel primo disco.

“Elusive” è un disco quasi totalmente in inglese, un disco “notturno”. Non sono neppure tutte mie le canzoni, anche se poi lo diventano nella riscrittura rispettosa ma radicale che ne faccio. E diciamocelo: poteva venire fuori una tremenda schifezza!

Ma invece alla fine del cammino mi sono ritrovato fra le mani un disco potente, apparentemente quieto, un viaggio fra i vari aspetti dell’amore. Un disco nel quale prendo il respiro, nel quale mi fermo a guardarmi dentro. Certo, la rottura c’è stata, piuttosto cruenta, la mia vita è esplosa “e ne porto il segno”, come diceva una canzone melensa di molti anni fa.  Ma quelle canzoni vengono a dirmi qualcosa. Se mi permetti un’altra citazione, qualcosa del tipo “è la tua musica che viene a dirti che la tua anima non è morta”.
Parliamo di una storia che si è svolta dapprima lentamente. “Uomini, bestie ed eroi” ha avuto una gestazione lunga, perché non avrei mai pensato di esordire come solista, di fare dischi (!)
Poi tutto è diventato frenetico – una seconda uscita a distanza di 12 mesi esatti dalla prima, decine e decine di concerti, i brani del terzo disco ormai pronti e persino gran parte di quelli del quarto.

Mi sono detto che avrei fatto uscire “Prolagus”  , il terzo lavoro (quasi tutto in sardo), nel luglio del 2020. E invece siamo qui che fronteggiamo l’apocalisse e la pandemia.
A questo punto torno alla tua domanda principale: che messaggio volevi mandare ?

In realtà volevo prendere per mano gli ascoltatori e – per contro – farmi prendere per mano da loro, senza pensare troppo a dove andare. Camminare insieme in tempi di totale disgregazione dei rapporti sociali e del senso della Comunità mi è sembrato di per sé già abbastanza rivoluzionario senza che sentissi il bisogno di fare troppo altro.

Fare tutto questo – e spesso riuscirci – con solamente un pugno di canzoni, a dirla tutta,  mi è sembrato un po’ come volare senza ali: una cosa miracolosa per la quale sono molto grato alla vita e a chi ha accolto le mie canzoni con tutto quell’amore.

Un artista vulcanico

Tu che sei un artista vulcanico, con molti progetti aperti e in evoluzione, come vivi questo momento di pausa forzata? Ritieni sia un momento creativo oppure uno spazio nel quale fermarsi e prendere fiato, magari condividendo quanto hai fatto con chi ha bisogno di una voce per evadere?

Ho la mente in panne… non riesco a considerare “pausa creativa” questo momento in cui la gente soffre, perde la vita, il lavoro, la speranza… Certo, per uscirne dovremo per forza essere creativi, solidali, dovremo trovare una voce che non sia solo un banale monologo ma che sia plurale. Altrimenti non ne veniamo fuori.
Come artista mi trovo di fronte a questa enorme incertezza…non sapere se domani dovrò vendermi la chitarra per mangiare, per esempio.  Cercherò di fare ciò che so fare  finché ne ho la forza. In questi giorni tante persone mi chiedono di cantare per loro. In effetti il canto aiuta ad attraversare la notte buia. E ho messo diversi brani in rete, anche se sono molto pudìco e ho sempre paura di oltrepassare quella soglia che dal condividere il tuo canto ti porta nel regno dell’ostentazione del “sé”, cosa che aborro e che non mi appartiene.

Vuoi rivelarci qualcosa del tuo terzo disco ?

Dovrebbe intitolarsi  “Prolagus”, sempre che io riesca a realizzarlo in qualche modo e il mondo non vada totalmente in vacca nei prossimi mesi.

Il prolagus, come sai, era un roditore molto diffuso in Sardegna, al punto che i nostri antenati lo avevano addirittura nella loro dieta. E’ estinto da molte centinaia di anni, ma fa parte della nostra storia e artisticamente parlando può diventare un simbolo di ciò che siamo stati e/o NON vogliamo diventare, né come popolo, né come cultura: estinti! 

Fa strano oggi, in piena pandemia, affrontare il rischio materiale e concreto di estinzione delle nostre vite proprio mentre lavoro a un disco che parla di resistere all’estinzione, a cominciare dalla lingua. Il disco, infatti, sarà soprattutto in sardo,  la nostra lingua, minoritaria in estinzione quanto ti pare, ma caparbiamente usata come una lingua viva, mischiata a  lingue maggioritarie, l’inglese, lo spagnolo, l’italiano, senza nessun senso di sudditanza ma anzi con l’intenzione di portare fuori lingua e cultura fuori dal quel museo di seppelliti vivi nel quale alcuni rassegnati vorrebbero rinchiudere la Sardegna e i sardi.

Io dico invece giù i muri, rinnoviamo la tradizione, che è grande e forte abbastanza da sostenere i cambiamenti. E proseguiamo con il discorso sull’indipendenza – che è aprirsi al mondo da pari a pari, non chiudersi a riccio a mangiare maialetti arrosto dentro a un Nuraghe vestiti di pelli, come pensano altri ugualmente rassegnati o consigliati male.

Insomma … come vedi ne ho da fare.. e ce n’è da dire. Io sono sicuro che vale la pena. Per cui .. non mollo

La quadrilogia

So che può sembrare una domanda particolare, ma pare che nel tempo di questa intervista, la trilogia sia già diventato una quadrilogia, dove trovano spazio l’Hagakure – la via della spada dei Samurai, e un tacchino. Ma come sei riuscito a mettere insieme queste due figure così diverse? Qual è il senso?

Dopo aver affrontato “Prolagus” e approfondito i vari livelli di lettura che intendo spargere con generosità nel nuovo lavoro, dopo aver fatto un disco scorrevole e potente e – spero – godibile quanto e più dei precedenti,  mi rimarrà da riflettere più a fondo sul senso di certe cose. Istintivamente ho già cominciato a farlo. Mi accorgo, tirando le somme, che il seguito al terzo disco è già pronto nella mente e che ho già molte canzoni che ne faranno parte e le faccio già nei miei concerti.

Quindi da tre, se il corona virus ce lo permette, ho come l’impressione che passeremo al quattro.

Dici bene, ho musicato l’inizio dell’Hagakure, il libro segreto del samurai. E poi ho scritto un brano che ha come protagonista un tacchino che si chiama Icaro. Quale è la correlazione fra le due cose? Il punto è che il senso della lotta è nella lotta in sé, non nella vittoria. Non importa se non vinci, importa se non ti arrendi, se poni il tuo onore al di sopra di tutto. Il samurai non deve necessariamente vincere. “Essendo pronto a morire in ogni istante, il samurai vive come se fosse già morto. Egli guadagna così la libertà della Via e la sua vita sarà una vita senza macchia”

Che c’entra il tacchino ? Il tacchino è un animale sfigato, con una specie di scroto attaccato al mento, un verso ridicolo, un andamento goffo; salta perché vuole volare, ma non ce la fa. Eppure non demorde: è audace e per un istante, nei suoi salti di cui tutti si prendono gioco, per un istante lui vola davvero, mentre il grosso di chi lo deride sta miseramente attaccato a terra.

Certo, poi il tacchino cade, ma se ne frega se tu ridi di lui. Lui è pronto a saltare ancora e lo farà. Quella sua caparbietà, quell’istante passato in volo è ciò che dà significato a tutto. A tutto.  

Ecco, dovremmo ripartire da lì: spingersi più in là, non arrendersi, anche se siamo come o peggio dei  tacchini che provano a volare e regolarmente finiamo con la faccia per terra.

Ma c’è di più nella canzone… chissà che in questi giorni di buio non decida di suonarla in rete come anteprima assoluta per provare a condividere un po’ di speranza con la gente che mi chiede di cantare …  
 

Questa rubrica nasce con l’idea di esplorare angoli della musica e condividerli.

Allora arrivo alla domanda più “scomoda” ma anche che sta alla base di questo progetto radio. Se ti dovessi chiedere di consigliarmi un autore da ascoltare, anticipandomi un po’ il famoso libretto del 33 giri, che nome/i mi faresti? E perché?

Io ti parlerei di Giacomo Deiana, delle sue canzoni ariose e dei suoi esperimenti – senti Serena – una tautologia – ogni parola nel testo inizia con S

Oppure Pasquale Demis Posadinu, perché è un geniaccio. Sentiti “Vecchi come Guccini” e sappimi dire!
Oppure Randagiu Sardu, un altro che fa cose pazzesche, o Dr Boost o i CRC Posse.  O Chiara Effe; o Davide Cadelano, che con “Prendimi l’anima” ha scritto una delle canzoni più belle che io abbia sentito negli ultimi dieci anni.
Oppure vai a curiosare in quel meraviglioso guazzabuglio di note e canzoni che è il calderone “Cantautori made in Sardegna” creato da un altro musicista, Luca Usai, che ha avuto la meravigliosa e generosa idea di creare una sorta di portale che contiene centinaia di autori che meritano di essere scoperti.
Non so se sono stato capace di rispondere correttamente alla tua domanda…. Forse ti aspettavi una risposta più sintetica, ma in tempi di crisi e povertà, tanta estrosa abbondanza andava sciorinata. Perché non si perda la speranza e il senso della lotta nel quotidiano.

Grazie a te, peraltro, per l’impegno, per il tuo tempo e per ciò che stai facendo per portare ancora la musica alla gente. Grazie!

About Nicola Manca

Economista, chitarrista mancato e cantante scarso, non demorde. Scrittore con diverse pubblicazioni alle spalle, coltiva con tenacia la sua passione per il mare, Moby Dick, il brazilian jiu jitsu e le vecchie motociclette. Da grande vorrebbe fare il guardiano di un faro.

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