Invisibilità, insulti, minacce e violenze: i dati sull’omobilesbotransfobia in Italia nell’indagine condotta da Hates Crimes No More Italy
L’indagine Hate Crimes No More Italy condotta dal Centro Risorse LGBTI delinea un diffuso clima di odio nei confronti delle persone LGBTIQ+ in Italia: le persone intervistate riferiscono nella maggior parte dei casi di aver subito ingiurie e insulti o minacce, perpetrate nei luoghi pubblici, spesso da branchi, o in famiglia. Tre su quattro non denunciano per mancanza di fiducia nelle istituzioni o per paura. La ricerca conferma l’urgenza di una legge contro l’omobilesbotransfobia, accompagnata da azioni integrate a tutti livelli, in particolare la scuola, i luoghi di lavoro, le forze dell’ordine e i media.
Da giugno a dicembre 2019 il Centro Risorse LGBTI ha condotto il progetto Hate Crimes No More Italy, raccogliendo 672 segnalazioni di crimini d’odio o altri atti motivati da odio omobilesbotransfobico in tutto il territorio nazionale, tramite un questionario anonimo online diffuso sui social network. Dopo alcuni mesi di lavoro per elaborare i dati raccolti, è ora on line il report dell’indagine.
Il primo dato che emerge dall’analisi è che la maggior parte delle persone che hanno partecipato è solo parzialmente visibile: quasi il 76% seleziona con cura, nei propri ambiti amicali e familiari, le persone con cui condividere il proprio orientamento sessuale o identità di genere. In molti contesti della vita quotidiana non ci si sente liber* di essere se stessi* e di manifestare pienamente la propria espressione di genere, vivendo una condizione generale di paura e autocensura che compromette il benessere psicofisico e sociale.
L’indagine e i dati emersi dal centro risorse lgbti
Tra le persone che hanno riportato episodi di crimini d’odio, il 73% ha subito ingiurie ed insulti, il 24% minacce, il 13% molestia sessuale, il 12% violenza fisica, il 10,4% inseguimenti. L’1% dichiara di aver subito un tentato omicidio. Il 3% ha subito il rifiuto di accesso a servizi sanitari o altri servizi pubblici e il 3% un rifiuto all’assunzione o un licenziamento. L’1,8 % ha ricevuto un rifiuto di protezione da parte delle forze dell’ordine.
Una caratteristica emersa dal rilevamento è la stratificazione degli episodi: chi riferisce di episodi più gravi racconta anche di aver subito insulti e ingiurie. Se si osservano i racconti relativi alla minaccia, ad esempio, si può notare come nell’84% dei casi questi riportino anche ingiurie o insulti. Il dato diventa ancora più netto quando si parla di violenza fisica: solo in 5 racconti su 82 la vittima parla esclusivamente di questa fattispecie, mentre nella quasi totalità dei casi arricchisce il racconto con altri episodi quali ingiurie e insulti, minacce, molestie, inseguimento e altro. Questo fa capire come esista una escalation di violenza, e che le sue espressioni più estreme sono precedute da storie di insulti, persecuzioni, attacchi verbali e altro.
È fondamentale quindi intercettare anche queste tipologie di episodi per poter prevenire le espressioni più violente e gravi che vanno a compromettere l’incolumità delle persone. Per elaborare strumenti di contrasto a questo fenomeno è importante quindi riconoscere episodi che dal punto di vista legale sono considerati “meno gravi” come spie di un clima che troppo spesso degenera e può sfociare in reati veri e propri. È il clima d’odio che si esplicita in numerosi atti minori a legittimare comportamenti più estremi che troppo spesso restano invisibili e pertanto impuniti.
Gli episodi di violenza
Sul totale di persone che hanno subito episodi di violenza sessuale, violenza fisica, stupro, danneggiamento delle proprietà, aggressioni con armi, tentato omicidio, il 76.4% non ha denunciato l’accaduto nonostante questo costituisca di per sé un reato, indipendentemente dal movente. Leggendo le motivazioni che hanno indotto le persone partecipanti a non denunciare, emerge, da un lato, la percezione che quanto subito non fosse perseguibile per legge, dall’altro, che un’eventuale denuncia sarebbe comunque stata inutile perché non si sarebbero presi i provvedimenti necessari ad evitare che accadesse ancora. In molti casi viene riportata la necessità di non attirare su di sé l’attenzione dando visibilità all’accaduto, per non dover subire una vittimizzazione secondaria.
Chi perpetra queste azioni agisce prevalentemente ‘in branco’: nel 51,5% l’atto è stato compiuto da più di una persona, nel 33.8% dei casi è stato compiuto da un gruppo. Nel 9,4% sono le stesse famiglie a perpetrare la violenza nei confronti della persona, e spesso si tratta direttamente dei genitori.
I luoghi di violenza del report del centro risorse lgbti
Il 20.3% del totale dei casi riportati ha come cornice l’ambiente scolastico. Tra questi, il 20% dei casi consistono in episodi di violenza, in massima parte ad opera di un gruppo di persone. Le esperienze riportate che rientrano in questa casistica vedono sommarsi molti episodi descritti dalle stesse persone: spesso la violenza fisica è accompagnata da minacce e insulti, a volte da molestie sessuali, danneggiamento di oggetti di proprietà della “vittima”. In alcuni casi gli episodi si sono ripetuti per interi anni scolastici, nell’indifferenza di compagn* di classe e del corpo docente. Quasi nessun* dei partecipanti che ha riferito questi episodi ha riportato quanto accaduto ai referenti all’interno dell’istituto di appartenenza. Le ragioni sono da ricercare prevalentemente nella paura, nella convinzione di essere dalla parte del torto, nella vergogna, nella sensazione di essere sol*, nella mancanza di fiducia nei confronti degli adulti di riferimento. Nei casi in cui invece queste figure erano al corrente dell’accaduto, la scelta di gestire internamente alla scuola, senza creare troppo “rumore” è stato motivo di ulteriore disagio e malessere.
I dati emersi dall’indagine Hate Crimes No More Italy rappresentano un utile strumento per migliorare la conoscenza della reale portata del fenomeno in Italia e per definire le azioni concrete da attuare per il raggiungimento della piena uguaglianza. Oltre a rendere evidente l’urgenza dell’approvazione della legge contro l’omobilesbotransfobia, il quadro emerso ci orienta verso alcune linee guida d’intervento:
– adozione di policy inclusive e strategie di contrasto al bullismo omolesbobitransfobico e promozione di educazione alle differenze e all’affettività nelle scuole;
– approvazione di leggi regionali contro le discriminazioni e promozione del diversity management e dell’inclusion management nei luoghi di lavoro;
– formazione del personale delle forze dell’ordine in merito ai crimini d’odio omolesbobitransofobici;
– vigilanza sugli organi di informazione e adozione di inee guida per una rappresentazione delle soggettività LGBTQI+ libera da stereotipi e pregiudizi;
– supporto alle realtà che tutelano coloro che sono stati allontant* dalle famiglie a causa della loro identità di genere LGBT+