Con “1984” è riuscito a prevedere quello che succede in questi giorni nelle strade di molte città, la damnatio memoriae contemporanea
Se c’è un libro che a ogni pie’ sospinto viene citato come inquietante precursore dei tempi, quello è 1984. L’immaginario distopico del suo autore, George Orwell, è da sempre considerato in qualche modo vaticinatore.
Stupisce scoprire che nel suo capolavoro lo scrittore inglese abbia tratto ispirazione dalla damnatio memoriae prima latina e poi sovietica. Non solo, ma che sia riuscito anche a gettare prima del tempo un rapido sguardo a quello che succede in questi giorni nelle strade di molte città.
Nel romanzo, quando un sovversivo viene fatto sparire dal partito, la sua figura viene eliminata da tutti i libri, i giornali, le fotografie. La citazione è ancora più eloquente. “Ogni disco è stato distrutto o falsificato, ogni libro è stato riscritto, ogni immagine è stata ridipinta, ogni statua e ogni edificio è stato rinominato, ogni data è stata modificata. E il processo continua giorno per giorno e minuto per minuto. La storia si è fermata. Nulla esiste tranne il presente senza fine in cui il Partito ha sempre ragione”.
Statue e simboli abbattuti
La storia schiacciata in un eterno presente e simboli e leader del passato, figure eminenti trascinate nella polvere dalla furia iconoclasta di proteste e movimenti, ridotti a emblemi negativi del politicamente scorretto alla luce del progresso. Le funi e i martelli che dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, dal Canada alla Francia, dall’Italia al Belgio, travolgono le statue di figure che hanno fatto la storia, e realizzano il racconto visionario di Orwell in 1984, la cancellazione di immagini e icone da dimenticare: «Il processo continua giorno per giorno e minuto per minuto. La storia si è fermata. Nulla esiste tranne il presente senza fine in cui il Partito ha sempre ragione».
Con effetti surreali come la sparizione dal catalogo dell’Hbo Max, il servizio di video on demand di Warner Media, di Via col Vento, il film del 1939 Oscar (e Pulitzer il romanzo), ripristinato soltanto con l’introduzione di un esperto di studi afroamericani. E diventa un simbolo la statua decapitata di Cristoforo Colombo a Boston, o quella divelta a St. Paul, Minnesota, lo Stato in cui è stato ucciso dal ginocchio sul collo di un poliziotto bianco il nero George Floyd.
La polemica
Ma Colombo è in fondo anche il simbolo di una minoranza che negli Usa qualche discriminazione l’ha subita, quella italiana. Il governatore di New York, Andrew Cuomo, si oppone alla rimozione del monumento, in quanto omaggio al «contributo degli italo-americani». E diventa materia del contendere pure la decisione del sindaco di Londra, Sadiq Khan. Ha deciso di creare una Commissione che dovrà esaminare murales, toponomastica e monumenti. Avrà il compito di ridisegnare il paesaggio fisico della capitale dell’ex Impero secondo nuove sensibilità ideologiche.
Una furia iconoclasta pericolosa, inutile e ignorante secondo Emma Webb, direttrice del Forum per l’integrazione: «L’abbattimento delle statue ha poco a che fare con la cultura». Durante la Rivoluzione francese, ricorda la Webb, i parigini distrussero 28 statue di re biblici nella facciata ovest della Cattedrale di Notre Dame convinti che fossero i Re di Francia. Paragona il fervore iconoclasta a quello dei Talebani in Afghanistan. Per non dire dell’uomo che contribuiva a vandalizzare in Parliament Square la statua di Churchill. Il trionfatore sul nazismo ma campione del dominio coloniale, tuttavia sventolava una bandiera con Che Guevara che «ordinò centinaia di esecuzioni senza processo».