L’ultima pagina di un romanzo su Montalbano per salutare il grande maestro Andrea Camilleri.
La statua di Montalbano è ancora lì, nella via principale di Porto Empedocle, con il braccio poggiato ad un palo e le gambe incrociate e sbilenche. Un po’ guardinga, curiosa, altera quanto basta, con lo sguardo un po’ sornione e un po’ beffardo, diventata un oggetto di culto, soggetto da selfie. La scultura è viva, presenza immobile e quasi reale in quella Vigata immaginaria che si affaccia sul mare di Agrigento e che ha ispirato Camilleri
Camilleri padre del fortunato Commissario Montalbano
In quel monumento alberga il ricordo e l’anima di Andrea Camilleri, tra i più grandi scrittori italiani e rende Porto Empedocle e i suoi abitanti, i “marinisi”, meno soli, meno orfani di quel genio creativo morto quasi un anno fa, il 17 luglio del 2019 quando il suo cuore affaticato smise di battere. Da allora il vuoto per l’assenza fisica è stato colmato dalle sue storie, che ancora oggi vengono divorate da lettori di mezzo mondo, dai casi che inchiodano milioni di italiani davanti la tv, dalle parole pronunciate da quella voce roca e cavernosa e impastata di tabacco che continuano ad echeggiare.
Camilleri e una nuova lingua
Camilleri ai posteri non ha lasciato soltanto casi da districare, fantasiose matasse da sbrogliare, ma ha regalato al mondo una nuova lingua, un idioma inventato per una dimensione letteraria ma finito ben presto per permeare il vocabolario comune, sdoganando universalmente dei termini una volta relegati al dialetto: “babbiare”, “cabbasisi”, “mutanghero”, “annacare”, “avere gana”.
L’ultima fatica di Camilleri
Ancora oggi, aprendo un suo libro, ci si immerge in una dimensione unica, si avvertono i profumi e si distinguono nitidamente i colori di una Sicilia autentica; le sue descrizioni consentono ai lettori di delineare caratteri, atteggiamenti, persino di ricavarne i tratti somatici dei protagonisti dei suoi romanzi. Camilleri con la sua prosa si insinua nel solco della tradizione letteraria siciliana, ma è con “Riccardino”, l’ultimo capitolo della saga, l’atto finale che uscirà postumo il 16 luglio (edito da Sellerio), che Nenè di Porto Empedocle si avvicinerà ancora di più a quello, che lui ha sempre considerato il suo punto di riferimento: Luigi Pirandello.
L’influenza di Pirandello
Perché l’impostazione di questo racconto attesissimo non può che essere definito con un aggettivo: pirandelliano.
Lo si avverte tra le pieghe del libro, in un passaggio anticipato nelle scorse settimane. In quel paragrafo in cui Catarella informa della chiamata de “il professore Cavilleri”. “Camilleri”, lo corregge il commissario, “digli che non ci sono” si affretta a raccomandare. L’autore, nell’opera che segna la fine di questa epopea tutta italiana, incontra la sua creatura. Il padre del personaggio che si immerge esso stesso nel racconto, scontrandosi con la sua stessa creazione. E’ il coup de théâtre architettato per uscire di scena. Andrea Camilleri lo aveva annunciato in un’intervista qualche anno fa: “Finirà Montalbano quando finisco io. Non un romanzo, quanto un metaromanzo dove il commissario dialoga con me e anche con l’altro Montalbano, quello televisivo”.
La fine di un mito
Una scelta, quella di scrivere l’ultimo capitolo della saga molti anni prima della sua scomparsa, dettata da un lato da ragioni creative: anche lui infatti avvertiva il peso della “serialità”, un tema per molti scrittori percepito come un fardello; dall’altro suggerito da ragioni scaramantiche: scrittori come Manuel Vàzquez Montálban non erano sopravvissuti alle proprie creature, morendo prima della fine dei propri personaggi che essi stessi speravano di sbarazzarsi. Per il “the end” Camilleri ha scelto quindi una soluzione pirandelliana. L’uscita di scena di Montalbano non rappresenterà comunque la fine di un mito.
D’altronde alla morte del maestro Camilleri sopravvive la fama del suo personaggio letterario, la cui notorietà non appare minimamente scalfita. I luoghi del commissario, quelli letterari della costa agrigentina e quelli televisivi della costa ragusana, stanno vivendo una stagione turistica vivace anche se messa a dura prova dal Covid; le continue repliche della fiction Rai confermano i record di ascolto; le sue raccolte, anche le più vecchie, riempiono gli scaffali delle librerie. E quella lingua “bastarda” inventata dallo scrittore siciliano hanno reso il personaggio ancora più popolare, alimentando la memoria che finirà per rendere il commissario (e il suo inventore) immortali. D’altronde Camilleri della memoria sosteneva che “nell’affidarsi ad essa vi è la volontà dell’uomo di non scomparire”. Il commissario (e il suo papà) sembrano tenuti in vita dalla passione delle loro storie. Montalbano sono. Montalbano sono stato.
(ITALPRESS).