Tiene l’export in Sardegna durante il lockdown: nonostante il crollo verticale del settore petrolifero
Nel secondo semestre l’isola registra un calo complessivo dell’ export del 66,5% (il triplo del dato nazionale, pari al 27,9%). Il valore dei beni esportati tra aprile e giugno è stato di appena 536 milioni di euro contro i 1.600 del 2019
L’aumento
Al netto del petrolifero le export sarde sono aumentate del 2,5% (unica regione italiana con il Molise). Exploit dei prodotti in metallo: esportazioni per oltre 116 milioni di euro nel secondo trimestre dell’anno: +43% rispetto al 2019.Tiene anche l’agroalimentare: le esportazioni sono diminuite di circa 6 milioni di euro, l’8% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019
Il pensiero del presidente e del segretario del CNA Sardegna
Piras e Porcu (CNA): Al netto dei prodotti petroliferi raffinati le esportazioni sarde hanno mostrato, nel mezzo della crisi sanitaria, una sorprendente resilienza. Bene soprattutto il comparto della lavorazione dei metalli, in grado di crescere significativamente e guadagnare importanti quote di mercato durante tutto il periodo di lock down. Guardando ai prossimi mesi, se la situazione sanitaria non dovesse precipitare, la congiuntura internazionale potrebbe riservare interessanti opportunità per l’export sardo. Ma occorrerà una strategia regionale su più livelli per rafforzare l’immagine positiva dell’isola e dei suoi prodotti.
Se infatti nella prima fase della crisi la forza con cui la pandemia aveva colpito l’Italia aveva messo a rischio le quote di mercato estero di molti prodotti agroalimentari, la situazione adesso si è ribaltata. “L’Italia, e con essa la Sardegna, è vista oggi come un paese virtuoso grazie a una gestione della crisi globalmente considerata efficace e tempestiva – evidenziano Piras e Porcu -.
I nostri prodotti sono visti come più sicuri e le esportazioni nel settore agrifood possono trarne beneficio. In quest’ottica risulta fondamentale riuscire a cogliere le opportunità offerte da questa fase. Infatti, basterebbe rafforzare l’immagine positiva dell’isola e dei suoi prodotti, con l’obiettivo di acquisire e aumentare quote di mercato estero nel settore dell’agrifood. Per farlo serve una strategia regionale di medio termine coordinata e concordata su più livelli.
È un’occasione da cogliere. Non solo per rilanciare le vendite del prodotto made in Sardegna per antonomasia, il pecorino, ma anche per migliorare il presidio in nicchie di mercato. Queste ultime, per le caratteristiche dell’industria sarda, sono potenzialmente strategiche. Si pensi a quella delle bevande (vino in primo luogo ma anche birra e bevande non alcoliche), dei prodotti da forno e del settore oleario”.
Il calo
Nel secondo trimestre 2020, la Sardegna, ha registrato un calo dell’export di circa un miliardo di euro rispetto allo stesso periodo del 2019. Il valore dei beni esportati tra aprile e giugno è stato infatti di appena 536 milioni di euro, contro i 1.600 del 2019. Si tratta di un crollo del -66,5% che non ha eguali tra le regioni italiane e quasi triplica il dato medio nazionale (-27,9%). Ma la dinamica negativa va collegata all’andamento di un solo mercato, quello dei combustibili fossili. Se escludiamo questa voce si scopre infatti che tra aprile e giugno le esportazioni sarde sono addirittura aumentate (+2,5%) rispetto al secondo trimestre 2019 (sei milioni di euro in più).
Senza il settore petrolifero, che rappresenta l’80% dell’export isolano, la Sardegna diventa l’unica regione (oltre al Molise) che ha visto aumentare le esportazioni in questo primo scorcio del 2020. È quanto si evince dall’ultimo report del Centro studi della Cna Sardegna sull’export regionale che consentono di valutare l’impatto della crisi sanitaria su una componente importante per l’economia della Regione.
Il report della Cna
Nel 2019 le esportazioni di prodotti made in Sardegna sono arrivate a valere 5,6 miliardi di euro, il 18% del valore aggiunto regionale. La crisi sanitaria ha impattato sul commercio internazionale attraverso diversi canali. Effetti diretti dovuti al lockdown produttivo partito a fine marzo e protrattosi fino a maggio. Anche indiretti dovuti alla rottura delle catene di valore globali, cioè, ad interruzioni o rallentamenti nella catena logistica dei beni primari o intermedi. Circostanza che ha influenzato la produzione manifatturiera a monte (si pensi, già a partire da febbraio, alle industrie maggiormente dipendenti da materiali e prodotti cinesi); effetti dal lato della domanda, dovuti alla minore capacità di spesa dei consumatori causata da incertezza economica e calo dei redditi.
I dati del primo semestre 2020 permettono di quantificare l’impatto della crisi soprattutto dal lato dell’offerta, mentre il calo della domanda aggregata si manifesterà più chiaramente nei numeri della seconda parte del 2020 e del 2021, anche se in alcuni casi, si veda il crollo del prezzo del petrolio, l’effetto macroscopico è già evidente.
Osservando i dati regionali, appare infatti evidente come l’effetto della crisi sanitaria sulle esportazioni si sia manifestato a partire dal trimestre primaverile. Il calo delle esportazioni è quantificabile, rispetto allo stesso periodo del 2019, in circa un miliardo di euro. Il valore dei beni esportati tra aprile e giugno è stato infatti di appena 536 milioni di euro, contro i 1.600 del 2019, un crollo macroscopico del -66,5%.