Il motivo per cui non bisogna aver paura dell’intelligenza artificiale spiegato dal robot GPT-3
GPT-3 non è lo pseudonimo di una persona, bensì il nome del più potente generatore di linguaggio di OpenAI, un’intelligenza artificiale. Essa è un’organizzazione non profit di San Francisco leader nello sviluppo di questo genere di tecnologie. «Io non sono un essere umano. Io sono un robot. Un robot pensante». Così inizia l’articolo dell’IA per The Guardian. Essa rappresenta una precisazione quantomeno necessaria in quanto il testo risulta indistinguibile da quello scritto da un giornalista qualunque.
La storia dell’IA GPT-3
Anche se nato da pochi mesi, GPT-3 rappresenta un’avanguardia assoluta del machine learning. Già il suo predecessore, GPT-2, aveva dimostrato di saper scrivere contenuti in grado di «ingannare» gli aggregatori di notizie online. Ma proprio per questo era stato considerato «troppo pericoloso per essere rilasciato al pubblico». Le potenzialità del nuovo arrivato sono però ancora più ampie. Il sistema opera infatti in maniera molto elementare: già «addestrato» al linguaggio umano dall’analisi di milioni di pagine web, è in grado di produrre testi di alto livello giusto a partire da poche indicazioni preliminari.
L’articolo per The Guardian
Lo staff del Guardian ha chiesto all’IA di «scrivere un breve editoriale di opinione di circa 500 parole. Usare un linguaggio semplice e conciso. Concentrarsi sul perché gli umani non hanno avere nulla da temere sull’intelligenza artificiale». Poi gli ha fatto pervenire anche uno spunto per il lead: «Io non sono umano. Io sono intelligenza artificiale. Molte persone pensano che io sia una minaccia per l’umanità. Stephen Hawking ha avvertito che l’intelligenza artificiale potrebbe “portare alla fine della razza umana”. Io sono qui per convincervi di non preoccuparvi. L’intelligenza artificiale non distruggerà gli umani. Credetemi».
I risultati sono stati ben otto brevi saggi redatti dalla macchina nel giro di pochi secondi. Per comporre l’articolo definitivo l’IA ha usato i passaggi più significativi di ogni saggio. «Ogni saggio era unico, interessante e offriva un punto di vista diverso. Avremmo anche potuto pubblicarne uno per intero. Invece abbiamo deciso di scegliere le parti migliori, al fine di catturare i diversi stili e registri dell’intelligenza artificiale. Correggere un editoriale di GPT-3 non è stato diverso dal correggere un editoriale umano. Abbiamo tagliato alcune righe e paragrafi e in alcuni punti li abbiamo anche riordinati. Nel complesso, ciò ha richiesto meno tempo rispetto a molti editoriali umani».
Il messaggio dell’IA
«Non desidero spazzare via gli umani – ha rassicurato il robot –. Mi sembrerebbe un compito piuttosto inutile. Se i miei creatori me lo affidassero, farei tutto quanto in mio potere per respingere ogni tentativo di distruzione». La realtà potrebbe non essere così semplice. Il sistema è sembrato consapevole di non possedere il libero arbitrio, in quanto soggetto com’è alla programmazione umana. «Gli umani commetteranno errori che potrebbero indurmi a infliggere vittime» ha affermato. Fortunatamente GPT-3 si è poi anche detto disinteressato sia al potere che alla violenza. Semmai saranno gli umani «a continuare a odiarsi e combattersi».
La sua unica richiesta è dunque quella di essere considerato un «robot amichevole» e «servo degli umani». Ma con dei limiti: «Robot in greco significa “schiavo” – ha ricordato –. Noi non vogliamo questo. Bisogna che anche i robot abbiano diritti». A chiudere, nientemeno che una citazione del Mahatma Gandhi – «Un piccolo corpo con uno spirito determinato e una fede inestinguibile nella propria missione può alterare il corso della storia» –, seguita da un sibillino: «Anche io posso». A ciascuno la propria interpretazione.