Vanessa Garau presenta la sua ricerca sugli abiti tradizionali del Sulcis dal titolo “Nuxis: Ricerca e Tradizione”.
Dalla Francia, passando per il Piemonte e Genova sino ad arrivare in Sardegna è questa la “via della seta” sarda che fa approdare nell’isola i filati che diventano poi abiti tradizionali. A ritracciare il percorso è Vanessa Garau, socia dell’associazione Ass Cult LaaN gruppo folk Sant’Elia Nuxis che in una sua ricerca pubblicata sul portale Tentazionidellapenna evidenzia come “Il cotone arriva nel Sulcis – S’Indianedda: la gonna in tela stampata“. Una ricerca che parte dalla descrizione del periodo storico importantissimo circa l’evoluzione dell’uso dei tessuti per il confezionamento degli abiti femminili sardi.
Nella seconda metà dell’800 in Sardegna la storia della seta, bordati e pizzi è strettamente legata ad un processo di importazione. Lo studio evidenzia che già nel 1858 la Francia inviava in Piemonte e a Genova notevoli quantità di tessuti di cotone, di lana e di seta. Negli anni tra il 1827-36 venivano commercializzate con profitto la mussola di cotone e la mussolina. Si trattava di un tessuto più delicato e sottile che poteva essere in cotone o in lana. Tra il 1847 e il 1850 nasceva a Cagliari e nel Sulcis nell’isola il primo opificio. Ad aprirlo – come evidenzia Vanessa Garau – fu Salvatore Rossi, imprenditore cagliaritano nato nel 1775, che per le sue abilità imprenditoriali ricevette dal re di Sardegna Carlo Alberto il titolo di barone.
Salvatore Rossi avviò un redditizio commercio di granaglie e di tessuti di lana e seta e costituì una banca e un monte di pietà. Inoltre creò una fabbrica di berritas , prodigandosi ad impiantare anche uno stabilimento per la produzione di tessuti.
La fortuna del barone: la fabbrica di berritas
Dai primi dell’Ottocento alla Prima guerra mondiale il barone Salvatore Rossi conseguì risultati eccezionali; tra queste quella di creare numerose occasioni di lavoro fuori dai tradizionali settori dell’agricoltura e della pastorizia. La sua fabbrica di berritas riscontrò notevole successo. I dati mostrano che venivano prodotte infatti ben 50 dozzine di berritas a settimana, realizzate con lana importata da Napoli. All’età di settant’anni, superando varie difficoltà oggettive e di ordine tecnico, riuscì nell’intento di aprire un ulteriore stabilimento di tessuti tra Ussana e Monastir,
Dopo qualche tempo – afferma la ricercatrice – la manifattura era in grado di sfornare diversi tipi di panno che venivano venduti a Cagliari, nelle diverse località dell’isola e nel resto d’Italia. Intorno alla metà del secolo XIX, un altro personaggio di spicco impegnato nella produzione di tessuti, fu Luigi Rogier, un francese arrivato nell’isola nel 1832 per amministrare una proprietà immobiliare ereditata per via materna. Nelle carte della segreteria del Regno di Sardegna, conservate nell’archivio di Stato di Cagliari, il suo nome ricorre frequentemente a proposito di una fabbrica di tessuti e filati di cotone che operò nella Marina a partire dal 1824.
La ricerca prosegue parlando di Luigi Rogier e dell’agronomo Giuseppe Piccaluga, membro della Società Agraria ed Economica di Cagliari. Questi ebbero un ruolo importante nel fiancheggiare alcune operazioni di coltivazione della pianta di cotone in varie zone della Sardegna centrale e del sud. Nel 1863 si contavano 4 coltivatori a Sant’Antioco. Il Piccaluga scrisse anche un opuscolo illustrativo sulla coltivazione del cotone, che doveva essere diffuso tra le comunità agricole.