Istruttoria del garante della concorrenza sul gigante del web. Nel mirino la raccolta massiccia di informazioni per annunci pubblicitari mirati
Google è di nuovo nel mirino dell’Antitrust italiana per abuso di posizione dominante. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha aperto un’istruttoria contestando a Big G la sua posizione anticoncorrenziale nel mercato del digital advertising. Nel mirino l’enorme mole di dati disponibili dal colosso californiano attraverso il suo ruolo monopolistico nelle ricerche online e acquisizione di dati.
Secondo l’Authority, Google, controllata dalla holding Alphabet Inc, avrebbe violato l’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea. Parliamo dunque della disponibilità e l’utilizzo di dati nelle campagne pubblicitarie di display advertising, ossia quegli spazi che editori e proprietari di siti web destinano ai contenuti pubblicitari.
Da dove deriva il potere dai dati
Si tratta di banner, finestre pop-up e cookies che l’azienda di Mountain View utilizza per acquisire i dati degli utenti. Attraverso questi dati è possibile per inserzionisti, agenzie e intermediari pubblicitari acquisire dati rilevanti per la scelta di consumo dell’utente. I dati vengono impiegati quindi per la profilazione, in gergo tecnico, e per la definizione di pubblicità sempre più personalizzate. È lo stesso meccanismo delle slot machine, che hanno i suoni e le grafiche carine e che ci fanno tornare compulsivamente bambini.
Comodità a scapito dell’effettiva utilità
Questo giochino fa parte della visione del mondo legata ai recommended systems. Un mondo dove se io guardo un video di calcio, allora YouTube inizia a propinarmi solo roba di calcio.
Dove se scelgo un albergo su Booking.com, poi mi arriva solo pubblicità di posti nelle vicinanze dell’albergo.
Dove se leggo una recensione su TripAdvisor mi accorgo di quanto siano nella graticola i servizi di ristorazione.
Chiaramente sono tutti comunque strumenti comodi e utili. Ma nel momento in cui non si dà più importanza a queste questioni, ecco che ci perdiamo tutti.
Preferiamo vivere in un mondo comodo dove quindi avviene la fossilizzazione del pensiero, perché siamo pigri e non vogliamo perdere due minuti in più per cercarci le cose che ci servono.
E nel quale, soprattutto, la gente scaccia via le pubblicità invasive come mosche, che poi ritornano sempre, e alla fine ci si abitua passivamente, nel mentre che queste prendono imperterrite i nostri dati.
Un’enorme mole di informazioni
Google controlla il cruciale mercato della pubblicità online anche grazie alla sua posizione dominante su larga parte della filiera digitale. L’Autorità pertanto contesta alla società l’utilizzo discriminatorio dell’enorme mole di dati raccolti attraverso le proprie applicazioni. Utilizzo che impedisce agli operatori concorrenti di avere accesso a quegli stessi dati per competere all’interno del mercato della pubblicità online. Quello su un maggiore scambio di dati tra piattaforme dello stesso settore di mercato è uno dei principali rilievi fatti dall’Antitrust europea inerente alle indagini sull’atteggiamento monopolistico dei colossi tecnologici.
Il no di Google
In base a quanto rilevato dal Garante italiano, la società sembrerebbe aver posto in essere una condotta di discriminazione interna-esterna. Oltretutto si sarebbe rifiutata di fornire chiavi di decriptazione dell’Id Google e avrebbe impedito a terze parti di utilizzare pixel di tracciamento necessari nel sistema del digital advertising proprio per arrivare alla definizione di messaggi pubblicitari sempre più mirati. Raggiungere quindi una capacità di target che alcuni concorrenti altrettanto efficienti non sono in grado di replicare. E la posizione dominante di Google in questo settore è certamente avvantaggiata dalla massima diffusione del suo sistema operativo Android e del suo browser Chrome, oltre ad altri servizi di tracciamento della navigazione.
Un giro d’affari da capogiro
Nel complesso, quello della raccolta pubblicitaria online è la seconda fonte di ricavi per il comparto dei media. Infatti, rappresenta un mercato che in Italia ha prodotto nel 2019 un giro d’affari di oltre 3,3 miliardi di euro. Il solo settore del display advertising, peraltro, ha prodotto un fatturato complessivo di 1,2 miliardi di euro. Per importanza, la raccolta pubblicitaria online costituisce quindi, in termini di valore, il 22% delle risorse. La posizione quasi monopolistica di Google rappresenta in questo settore una grande minaccia alla sopravvivenza di altre aziende concorrenti che non possono contare sui vantaggi tecnologici dell’azienda statunitense.
Occhio agli Android
Oltre a questi dati rilevanti, Google dispone di molteplici strumenti che consentono di ricostruire in maniera dettagliata il profilo dei soggetti cui indirizzare i messaggi pubblicitari.
Uno tra questi è il sistema operativo mobile Android, installato sulla gran parte degli smartphone utilizzati in Italia. Android che di default usa browser per dispositivi Chrome mobile, così come i PC. In più, adopera i servizi di cartografia e di navigazione Google Maps/Waze e tutti gli altri servizi erogati attraverso Google ID (gmail, drive, docs, sheet, Youtube).
Le azioni dell’Antitrust
Le condotte investigate dall’Autorità hanno un significativo impatto sulla concorrenza nei diversi mercati della filiera del digital advertising, con ricadute su competitor e consumatori. L‘assenza di concorrenza nell’intermediazione del digital advertising, infatti, riduce le risorse destinate ai produttori di siti web e agli editori per lo sviluppo di tecnologie e tecniche pubblicitarie meno invasive per i consumatori. In questo modo si impoverisce anche la qualità dei contenuti diretti ai clienti finali.
Il 27 ottobre l’Autorità ha condotto accertamenti ispettivi nelle sedi di Google, avvalendosi della collaborazione dei militari della Guardia di Finanza. Questa nuova istruttoria, inoltre, arriva a una settimana di distanza da una multa di 100mila euro che sempre l’Autorità garante ha comminato a Google ancora nel settore della pubblicità. Nel caso specifico, per aver promosso un sito internet di gioco d’azzardo e scommesse con vincite in denaro, in violazione della norma contenuta nel decreto Dignità che vieta simili pubblicità sia in modo diretto sia in modo indiretto.
Questioni etiche
Ci sarà sempre un dibattito etico sul ruolo di Internet.
Da una parte i sostenitori dell’Internet come scambio libero di beni e spazio per affrancarsi una volta per tutte da un mondo opulento e schiavo della pubblicità. Un mondo dove i lavori comportano la ricerca esasperata di seguito e followers per poter sopravvivere.
Dall’altra parte chi invece in questo mondo ci sguazza, perché ha tutte le possibilità economiche e logistiche per garantirsi un’esistenza più che dignitosa a scapito degli altri. E per questo motivo sostiene più che mai l’intervento del mondo delle pubblicità, della politica e dell’economia su Internet.
Poniamo che sia anche giusta l’esistenza di tutte queste aziende affiliate a Google che fanno uso dei dati degli utenti. Uno può dire che in fondo “come quando vai in casa di altri e accetti le loro regole, se usi un servizio fai la stessa cosa”. Ma fino a dove si può spingere la libertà e il potere lasciato a questo sistema? Fino a dove si può spingere l’accettazione passiva di questo sistema da parte degli utenti? Che mondo sarà quando, come in Black Mirror, ci alzeremo dal letto ogni mattina con la sveglia che ci proietta le pubblicità a noi dedicate?
Ideali ad oggi utopistici, ai quali però bisogna guardare
È indubbio che se si vuole cercare di trovare una soluzione migliore si debba cooperare e trovare un accordo tra i due estremi. Accordi e politiche che incentivino la formazione di un pensiero critico da parte dei datausers. In concomitanza con una maggior consapevolezza sull’uso di Internet e di chi lo gestisce.
Così facendo, anche i Gdpr sulla Privacy verrebbero rispettati per davvero. E non, come adesso succede, con le ridicole informative sui cookies, che sembrano essere fatte apposta per essere skippate e accettate. Si andrebbe finalmente incontro a un Internet più equo e più inclusivo, oltre che più utile.