Imprese sarde a rischio tracollo in caso di un nuovo lockdown: il dossier della CNA Sardegna
Le imprese sarde con più di tre addetti sono circa 23.500 e impiegano quasi 188 mila occupati (circa il 63% del totale). Già prima della nuova emergenza autunnale, il 48,8% di queste aveva indicato una difficoltà di tenuta della propria attività a seguito della crisi sanitaria (contro una media nazionale del 38% e del 43,1% nel Mezzogiorno).
A giugno solo l’11,4% delle imprese non si aspettava effetti particolari sulla propria attività (12,6% nazionale e 12,8% Mezzogiorno). Il 56% delle imprese sarde ha denunciato carenze di liquidità per far fronte alle spese (51% la media nazionale).
Un quinto delle imprese sarde con più di tre addetti (19,1%) ha indicato di non essere in grado di adeguare gli spazi di lavoro nell’ottica di una maggiore sicurezza sanitaria.Il 18% ha rinviato le assunzioni previste per il 2020 e il 7,6% ha indicato di aver ridotto il personale a tempo determinato o tagliato i collaboratori esterni.
I rischi per le imprese sarde
Il sistema delle imprese sarde, stremato dal lockdown della scorsa primavera, rischia di essere travolto. Soprattutto ora, dalla sempre più probabile nuova serrata generalizzata allo studio del Governo. Lo attesta un dossier della Cna Sardegna. L’indagine è stata condotta dall’Istat presso un campione di imprese regionali con più di tre addetti nei settori industria e costruzioni, commercio e servizi in riferimento all’impatto del primo lockdown primaverile. Questa videnzia la grande vulnerabilità del tessuto economico isolano, impreparato alla prospettiva sempre più concreta di ulteriori restrizioni.
Già prima della recrudescenza autunnale della pandemia, il 48,8% delle imprese sarde con più di tre addetti (un’impresa su due) aveva indicato un serio rischio di tenuta della propria attività. Soltanto l’11,4% aveva manifestato una certa fiducia per il prosieguo dell’anno. Oltre metà delle imprese aveva inoltre denunciato gravi problemi di liquidità per far fronte alle spese. Un quinto aveva addirittura dichiarato di non essere in grado di adeguare i propri spazi di lavoro per una maggiore sicurezza sanitaria. Sotto il profilo occupazionale, inoltre, ben il 18% delle imprese sarde con più di tre addetti aveva dichiarato di aver rinviato le assunzioni previste per il 2020 e il 7,6% aveva indicato di aver ridotto il personale a tempo determinato o tagliato i collaboratori esterni.
I timori del Cna sardo
“La nostra paura è che un nuovo lockdown, seppure meno severo rispetto a quello di aprile, possa avere effetti devastanti sulle imprese sarde – spiegano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, presidente e segretario regionale della Cna Sardegna-. A livello europeo la Francia è il primo paese ad aver riattivato un lockdown generalizzato. Tutto lascia pensare che, vista la curva epidemica in rapida ascesa, anche il governo italiano interverrà con misure più stringenti. Il rischio concreto è quello di veder scomparire un sempre maggior numero di attività economiche. Come la ristorazione, degli eventi, del fitness e del ricettivo. Gli effetti sull’occupazione e sui redditi delle famiglie, rischiano di essere molto accentuati. Il calo della domanda aggregata potrebbe protrarsi a lungo, compromettendo la ripresa dell’economia regionale nella fase successiva all’emergenza-.
Per questo – sostengono Piras e Porcu – è necessario che, in Sardegna più che altrove, si intervenga per supportare il mondo delle imprese. Bisogna preparare al meglio la fase successiva, attraverso una progettualità di ampio raggio finanziata anche tramite risorse comunitarie. Per permettere all’economia regionale di ripartire rapidamente in tutti i settori: dalle costruzioni, al settore turistico, dall’agroalimentare a quello delle palestre, della ristorazione e dei trasporti”.
Il dossier della Cna
L’obiettivo è comprendere quanto il sistema delle imprese sarde sia attrezzato per resistere ad una nuova serie di serrate. Perciò, il dossier elaborato dall’associazione artigiana, analizza un’indagine riferita all’impatto del primo lockdown primaverile. Questa era stata condotta dall’Istat presso un campione di imprese regionali con più di tre addetti nei settori industria e costruzioni, commercio e servizi. Tale indagine ha permesso di misurare la resilienza del sistema economico regionale in un contesto comparato nazionale.
In Sardegna le imprese con più di tre addetti sono circa 23.500 e impiegano quasi 188 mila occupati, circa il 63% del totale. Ben il 48,8% di queste, già prima della nuova emergenza, aveva indicato rischi operativi di sostenibilità della propria attività. Una percentuale maggiore della media nazionale (38%) e anche superiore al dato medio delle regioni del Mezzogiorno (43,1%). Si tratta di una prima chiara indicazione di forte vulnerabilità.questa è aggravata dal fatto che nessuna regione italiana ha fatto registrare una quota così alta di imprese in difficoltà. A sottolineare il clima di sfiducia va aggiunto che a giugno solo l’11,4% delle imprese sarde non si aspettava effetti particolari sull’attività. Anzi, aspettandosi di poter proseguire più o meno nella normalità (12,6% nazionale e 12,8% Mezzogiorno).
La carenza di liquidità
Il dossier della Cna sarda evidenzia inoltre come il principale problema delle imprese sarde sia quello della carenza di liquidità. Necessaria per far fronte alle spese (correnti, spese per fornitori, debiti, ecc.). Lo ha indicato il 56% delle imprese sarde contro il 51% della media nazionale. Non si tratta, quindi, solo di un problema di ricavi mancati. Ad essere messi in discussione sono i fondamentali economici su cui si basa la tenuta dell’azienda. Un problema, questo, che le imprese soffrono in Sardegna più che altrove. Solo in Umbria (57,8%) e in Calabria (57,4%), infatti, la percentuale di chi lo indica risulta superiore a quella dell’Isola.
Bisogna tener conto anche di uno scenario che richiederà sempre maggiori sforzi per l’adeguamento degli spazi di lavoro per una maggiore sicurezza sanitaria. Quasi un quinto delle imprese sarde indica di non essere in grado di agire in tal senso. Da ciò possibili conseguenze in termini di riduzione della capacità produttiva (turni ridotti o dipendenti forzosamente in cassa integrazione). O persino l’impossibilità di proseguire l’attività economica. Hanno risposto in tal senso il 19,1% delle imprese (14,4% la media nazionale, 13,1% quella del Mezzogiorno), la quota in assoluto maggiore tra tutte le regioni italiane.
La situazione rischia quindi di precipitare con conseguenze drammatiche che rischiano di abbattersi sull’occupazione, soprattutto quando verranno meno gli strumenti di legge per la tutela dei posti di lavoro, cioè, cassa integrazione e blocco dei licenziamenti, misure prorogate al 31 gennaio 2021 nel decreto Ristori. Intanto il 18% delle imprese sarde con più di tre addetti ha già rinviato le assunzioni previste per il 2020, contro il 12,2% nazionale e il 13% delle regioni del Mezzogiorno (si tratta del secondo dato peggiore tra tutte le regioni), mentre il 7,6% ha indicato di aver ridotto il personale a tempo determinato o tagliato i collaboratori esterni, i cui contratti non sono stati prorogati, anche in questo caso uno dei dati peggiori tra le regioni italiane.