Parte dell’abilità in matematica sembra essere legato al volume di materia grigia, a sua volta dipendente dall’espressione di un gene.
La propensione e l’abilità matematica, ma anche per l’apprendimento di una lingua o di uno strumento musicale, sono caratteristiche innate o dipendono da fattori ambientali? Dopo decenni di studi, sappiamo con ragionevole certezza che entrambi i componenti giocano un ruolo importante.
Si conosce ancora poco su quale sia il peso di ciascuno e soprattutto su come interagiscano tra loro. Uno studio appena pubblicato su PLOS Biology aggiunge un nuovo tassello alla comprensione del fenomeno.
Gli autori del lavoro, del Department of Neuropsychology al Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences di Leipzig, in Germania, hanno infatti appena mostrato che le differenze individuali nell’abilità in matematica possono essere spiegate, almeno in parte, dall’espressione di un gene che influenza il volume di materia grigia nel cervello.
“L’abilità in matematica”, scrivono gli scienziati nel lavoro, “dipende da una complessa interazione tra fattori genetici e ambientali; la variabilità genetica spiega circa il 60% della variabilità comportamentale. Al momento sono state scoperte diverse variazioni associate alle prestazioni matematiche. La maggior parte delle quali si trovano su geni responsabili, tra le altre cose, di codificare alcune proteine nelle cellule del tessuto nervoso. Tuttavia, al momento non si sa ancora molto su come l’espressione di questi geni sia distribuita nelle varie fasi di sviluppo del cervello“.
L’esperimento
Gli scienziati si sono concentrati soprattutto sulle varianti di un gene, chiamato ROBO1. Questo è legato allo sviluppo di materia grigia nella corteccia parietale destra, una regione del cervello coinvolta nella rappresentazione dei numeri. Nel loro esperimento, gli scienziati hanno misurato il volume di materia grigia nel cervello di alcuni bambini. Questi erano di età compresa tra 3 e 6 anni, e ancora non avevano ricevuto alcuna formazione matematica. Dopodiché ne hanno analizzato il genoma alla ricerca di varianti di ROBO1.
Successivamente i bambini sono cresciuti e hanno iniziato a frequentare le scuole elementari. I ricercatori ne hanno raccolto i voti in matematica e hanno incrociato questi dati con quelli esaminati in precedenza. L’analisi dei dati sembra corroborare l’ipotesi dell’esistenza di una catena di correlazioni tra le varianti di ROBO1, il volume di materia grigia nel cervello e l’abilità in matematica. In particolare, sembra che almeno un quinto della capacità a far di conto possa essere ascrivibile a questo fattore genetico.
I condizionali e le ipotetiche sono d’obbligo. “È possibile”, ha spiegato Melissa Libertus, un’esperta della University of Pittsburgh non coinvolta nello studio, “che gli autori del lavoro abbiano osservato l’associazione tra geni, volume di materia grigia e abilità in matematica soltanto perché i bambini che hanno partecipato all’esperimento siano cresciuti in un ambiente in cui sono stati esposti alla matematica fin da piccoli”.
Effettivamente, i dati raccolti dagli scienziati, quando i bambini avevano 3-6 anni e 6-9 anni, rappresentano soltanto delle “istantanee” nel tempo. Non contengono infatti nessuna informazione su ciò che è successo nel frattempo. Potrebbe essere accaduto, per esempio, che alcuni di loro sono stati più esposti degli altri alla matematica nell’ambiente familiare.
Si tratta di una variabile che lo studio in questione non ha potuto ovviamente tenere in considerazione. Potrebbe quindi “confondere” nella valutazione del peso della componente genetica. Per confermare, emendare o smentire l’ipotesi serviranno studi più approfonditi e dettagliati. “Anche se questo risultato fosse confermato”, conclude Libertus, “ci sarebbero ancora quattro quinti delle abilità matematiche non completamente compresi”.