Composto da David Bowie, rilanciato da Kurt Cobain nel 1993, amato da generazioni di appassionati, è un pezzo che col tempo ha finito per appartenere più ai Nirvana e al genere grunge.
50 anni fa, il 4 novembre 1970, il mondo veniva a conoscenza di The man who sold the world. Se avete meno di trentacinque anni, è probabile che stiate pensando: “ma come? I Nirvana erano così vecchi?”. Se ne avete più di quaranta, è invece probabile che stiate annuendo soddisfatti all’idea che qualcuno renda merito a David Bowie per una delle sue hit inizialmente meno considerate dallo stesso Bowie, tanto che per quasi un decennio non l’aveva mai eseguita dal vivo. Un brano poi reso immortale e proverbiale da Kurt Cobain, la sera del 18 novembre 1993. Ma andiamo con ordine. La prima versione di The man who sold the world fu registrata tra i Trident Studios e gli Advision Studios di Soho, Londra nella primavera del 1970.
Un periodo in cui Bowie – fresco di matrimonio con Angela Barnett – non sembrava prestare troppa attenzione al proprio lavoro: “Non aveva proprio nessuna voglia di uscire dal letto e scrivere una canzone”. Ricorda il bassista e produttore Tony Visconti: “Noi buttavamo giù gli accordi, gli arrangiamenti, gli assolo di chitarra, i sintetizzatori; David se ne stava nel corridoio degli studi, mano nella mano con Angela a tubare”. Una registrazione afflitta da qualche incidente di percorso come l’arrivo alla batteria di Mick Woodmansey; dopo il divorzio dal precedente batterista John Cambridge che aveva avuto alcune difficoltà nell’esecuzione di altri pezzi dell’album. Il brano diede il titolo al terzo album di Bowie, un anno dopo Space Oddity che aveva avuto un buon successo; The man who sold the world era però un lavoro molto più duro e radicale del precedente. Ecco perchè così ottenne buone recensioni ma scarso successo commerciale.
L’interpretazione di un testo oscuro e fondamentalmente pessimista appassiona da anni migliaia di persone.
“Stando a Visconti il testo fu composto all’ultimo momento, partendo dalla poesia Antigonish di Hughes Mearns: una poesia piuttosto nota nella cultura angloamericana, citata in numerosi libri e film, che inizia con i versi: “Yesterday, upon the stair, I met a man who wasn’t there!“. Una classica storia di fantasmi di ambientazione scozzese, che invece Bowie trasforma in un dialogo con sé stesso: “Ci incrociammo sulla scala, parlammo di cosa fu e quando, malgrado io non fossi lì”. La voce di Bowie viene filtrata in modo da sembrare spettrale; mentre Mick Woodmansey suona un particolare strumento sudamericano, chiamato güiro, che viene “grattato” quasi a evocare scale che cigolano”. Chi dei due è il fantasma, l’uomo che “non c’è più”? “Non è così chiaro – tanto più che nello scambio di battute uno dice all’altro: “Pensavo fossi morto tutto solo, parecchio tempo fa”.