Mediterraneo e cambiamento climatico

Gli effetti del cambiamento climatico nel Mediterraneo

I mari e gli oceani hanno un ruolo da protagonisti nel complesso fenomeno del cambiamento climatico

Gli effetti del cambiamento climatico nel Mediterraneo: le acque degli oceani hanno infatti assorbito il 31% dell’anidride carbonica emessa dall’uomo. Ovvero la principale causa dell’effetto serra e del conseguente riscaldamento globale, nonché il 90% del calore in eccesso dovuto all’azione umana.

Le acque degli oceani

Le acque degli oceani hanno quindi contribuito a mitigare gli effetti del cambiamento climatico, ma non certo senza conseguenze per gli ecosistemi marini e i loro abitanti. L’anidride carbonica in eccesso che entra in acqua, infatti, si scioglie e diventa acido carbonico, il cui accumulo altera gli equilibri chimici delle acque marine, causando un fenomeno noto come acidificazione degli oceani e che sta progressivamente aumentando, con le continue emissioni umane di anidride carbonica.

Acidificazione

Gli organismi marini maggiormente interessati dall’acidificazione sono quelli con parti del corpo costituite da carbonato di calcio. L’alterazione dell’equilibrio chimico delle acque, infatti, scioglie le loro strutture calcaree e impedisce la deposizione dei carbonati. Questo può provocare un pericoloso effetto a catena. Alcuni di questi organismi calcarei creano strutture tridimensionali nelle quali sono ospitate molte altre forme di vita marina. Il possibile futuro declino dei “biocostruttori” si potrebbe quindi ripercuotere sugli organismi ad essi associati.

Per esempio, uno dei più importanti biocostruttori Mediterranei è l’alga calcarea Ellisolandia elongata, una piccola alga di colore rosaceo che crea biocostruzioni ben visibili a livello del pelo dell’acqua sulle coste rocciose. Sebbene sia di piccole dimensioni, tra le sue fronde vive una sorprendente quantità e varietà di animali.

Come crostacei, molluschi, vermi, stelle marine, mentre altri organismi usano questo habitat per deporvi le proprie uova o lo visitano per cercare cibo. Le biocostruzioni realizzate da Ellisolandia elongata sono quindi una preziosa fonte di biodiversità marina, e contengono anche specie rare o endemiche.

Quale sarà il destino di questo habitat se le acque del Mediterraneo diverranno più calde e più acide?

Se lo sono chiesti alcuni ricercatori di vari istituti (l’ENEA, le Università di Pavia, Pisa e Portsmouth, il CNR e la Stazione Zoologica di Napoli), che lo hanno verificato tramite un esperimento in acquario, durato tre mesi.

I ricercatori hanno esposto fronde di Ellisolandia elongata alle condizioni di temperatura e pH previste per l’anno 2100 dall’IPCC, il Pannello Intergovernativo sul Cambiamento Climatico. Ossia temperatura innalzata di 3°C rispetto alla media delle condizioni attuali e pH abbassato di 0,3 punti (dall’attuale 8,1 al 7,8 previsto per il 2100).

I risultati

risultati dell’esperimento mostrano un’alga con crescita rallentata, e una fauna impoverita, in quanto a numero di individui ma anche in termini di varietà delle specie presenti. Molti di questi organismi rappresentano una fonte di cibo per pesci e altri predatori. Quindi danneggiare le biocostruzioni di Ellisolandia elongata significa rischiare effetti imprevedibili sull’intera catena trofica.

Tra le tante e varie conseguenze preoccupanti del cambiamento climatico va quindi annoverato anche il danneggiamento di un habitat di grande valore per la biodiversità e la produttività del mare Mediterraneo.

About Francesca Dessì

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