La chimica di base dell’elettrolisi dell’acqua: la scoperta pubblicata su Nature per lo stoccaggio delle fonti rinnovabili
L’importanza della scoperta sull’elettrolisi dell’acqua è legata al passaggio a un’economia basata su fonti di energia rinnovabile. Essa, infatti, richiede l’utilizzo di metodi elettrochimici nuovi. Questi servono per convertire l’energia elettrica in energia chimica e in materie prime.
Uno dei tasselli fondamentali nella transizione a un’economia basata su fonti energetiche rinnovabili è lo sviluppo di nuovi materiali. Questi servono per l’evoluzione elettrocatalitica dell’ossigeno. Un momento cruciale nell’elettrolisi dell’acqua. L’elettrolisi è un processo che utilizza energia elettrica per scindere l’acqua nei sui elementi costitutivi, ossigeno e idrogeno, tramite reazioni chimiche. Queste reazioni avvengono sulla superficie dei catalizzatori. Ossia elementi che si usano per accelerare o favorire una reazione chimica.
Lo studio su Nature sull’elettrolisi dell’acqua
Lo studio pubblicato su Nature è prodotto da un gruppo composto da ricercatori dell’Istituto officina dei materiali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iom), Politecnico di Berlino, Politecnico di Zurigo e Istituto Fritz Haber di Berlino. Esso spiega il funzionamento di una delle migliori classi di catalizzatori per la reazione di evoluzione dell’ossigeno. Ossia gli ossidi di iridio.
“L’importanza dell’elettrocatalisi dell’ossigeno si spiega in riferimento al problema dell’immagazzinamento delle rinnovabili. Soprattutto per le energie non programmabili, il problema dello stoccaggio diventa determinante. Ciò per assorbire le fluttuazioni di potenza e per garantire un approvvigionamento energetico affidabile. La strategia è dunque quella di convertire l’energia elettrica in combustibili chimici. Ciò è possibile tramite l’utilizzo di protoni ed elettroni prodotti con l’elettrolisi dell’acqua”. Spiega Simone Piccinin del Cnr-Iom.
Lo stoccaggio delle fonti rinnovabili
Questo metodo è uno dei più promettenti per lo stoccaggio delle rinnovabili non programmabili come il solare e l’eolico. Questo perché risulta molto flessibile, dal momento che i combustibili possono essere utilizzati quando e dove servono. Un ostacolo a questo approccio è però l’identificazione di elettrocatalizzatori per l’ossidazione dell’acqua a ossigeno molecolare. Ovvero la reazione che fornisce i protoni e gli elettroni necessari per produrre tali combustibili.
“Nel tentativo di sviluppare nuovi elettrocatalizzatori, gli esperti hanno sempre pensato che la reazione potesse essere spiegata usando una teoria ben nota, sviluppata decenni fa. Il nostro gruppo ha deciso di testare queste assunzioni. Abbiamo scoperto che la reazione di evoluzione dell’ossigeno è in realtà più simile alla tradizionale catalisi termica di quanto si ritenesse. Questo consente di applicare strumenti e concetti sviluppati per descrivere la catalisi termica tradizionale anche alla catalisi elettrochimica”.
La chimica di base
“Per migliorare gli elettrocatalizzatori è importante capire la scienza fondamentale che sta alla loro base. Ci era sempre più chiaro che la descrizione tradizionale di ciò che muove le reazioni è incompleta”. Spiega Peter Strasser del Politecnico di Berlino. “I ricercatori di solito assumono che la reazione di evoluzione dell’ossigeno sia controllata dall’azione del potenziale elettrico sulla coordinata di reazione. Questo è uno scenario molto diverso dalla catalisi termica. Qui, la creazione e rottura di legami chimici controlla la velocità di reazione attraverso la chimica di superficie”.
“Dal nostro lavoro emerge invece che il ruolo del potenziale è quello di ossidare la superficie. Inoltre, l’accumulo della carica indotto da questa ossidazione controlla la velocità di reazione, in modo analogo alla catalisi termica”. “Questi studi ci hanno fatto capire che la reazione è controllata dalla chimica di superficie, a dispetto di quanto si credesse. Sviluppando un metodo di laboratorio in grado di quantificare l’accumulo di carica e usando simulazioni teoriche con tecniche di meccanica quantistica, il nostro gruppo è riuscito a studiare diversi materiali e ha trovato che tutti mostravano lo stesso comportamento”, conclude Piccinin.