Quello delle mascherine sotterrate è un immenso cimitero. Che si espande giorno dopo giorno. Come un blob che cresce e si gonfia fagocitando in Sardegna circa 800mila dispositivi di protezione al giorno. Ogni famiglia li usa e poi li getta nella busta del secco, e poi questo magma indifferenziato viene seppellito nella pancia dell’isola.
Ma per smaltire naturalmente una sola mascherina chirurgica, dicono gli scienziati, occorrono mediamente 450 anni. Quello del Covid non è solo uno scontrino di vite umane, è anche un conto salatissimo da pagare all’ambiente.
In Sardegna la situazione è ancora più grave. Infatti ad andare sotto terra nelle discariche sono anche tutte le mascherine contaminate che provengono dalle famiglie con persone positive. Sono assimilate a rifiuti speciali, che dovrebbero essere smaltiti attraverso un inceneritore. Ma se durante la primavera del primo lockdown il termovalorizzatore Tecnocasic di Macchiareddu si faceva carico dello smaltimento, dal 18 settembre l’impianto è in fase di revamping e quindi le linee sono ferme. Significa che ogni Comune della Sardegna, così come prescritto in delibera regionale, deve arrangiarsi con i propri mezzi. Quindi ritirare i bustoni al Covid, portarli in discarica, scavare una fossa e amen.
Le mascherine per la bocca impiegano fino a 450 anni per decomporsi nell’ambiente. Lo mette in evidenza il Dipartimento per l’ambiente marino del Servizio sanitario pubblico federale belga, lanciando la campagna di sensibilizzazione “Il mare comincia in casa”, per incoraggiare i cittadini a gettare questo tipo di rifiuti in un bidone della spazzatura o usare una maschera riutilizzabile.
Con la crisi del coronavirus, sottolinea il Servizio pubblico federale per la Salute, sempre più mascherine, guanti monouso e le bottiglie di gel idroalcolico si aggiungono alle 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica che finiscono in mare ogni anno. Gli animali marini possono rimanere impigliati nelle maschere o scambiarle per meduse inghiottendole, è l’allarme delle autorità.