Il veganismo (o, più raramente, veganesimo) è un movimento. La base ideologica dei primi aderenti è riconducibile all’antispecismo. Propone l’adozione di uno stile di vita basato idealmente su risorse non provenienti dal mondo animale.
Il padre del termine “vegano” fu l’inglese Donald Watson (nella foto). A lui dobbiamo la nascita, nel 1944, della Vegan Society a Londra. Watson è morto nel 2005. Aveva 95 anni. Diede una testimonianza più che reale che essere vegano significa vivere bene e a lungo.
Più nello specifico Watson già apparteneva alla Vegetarian Society. Negli anni ’40 adottò un nuovo, più dogmatico orientamento alimentare che escludeva latte, uova, formaggio. E qualsiasi altro derivato animale. Dunque coniò il termine “vegan”. In sostanza, una crasi della parola “vegetarian”. Di cui rimasero solo le prime tre e le ultime due lettere. E che metaforicamente stava a indicare “l’inizio e la fine del vegetarianesimo”.
Ci fu un rifiuto da parte dei membri della Vegetarian Society di eliminare dalle linee guida dell’alimentazione vegetariana latticini e derivati animali. Watson se ne distaccò insieme ad altri cinque compagni (tra cui la sua futura compagna e cofondatrice del nuovo gruppo Elsie Shrigley). E diede vita a una società che rispecchiasse appieno le sue scelte di vita alternative. Un coordinamento di “vegetariani non consumatori di latticini”.
Questo evento storico ha la sua ricorrenza annuale il primo di novembre. Si festeggia il “vegan day”. Essere vegano significava, e significa tuttora, seguire dei principi etici fondamentali basati sul rispetto per la vita animale. Sull’anti-specismo. E su una visione non violenta della vita. Tutto ciò nella pratica quotidiana si traduce nel rifiuto di acquistare, usare e consumare per quanto possibile e praticabile, prodotti derivanti dallo sfruttamento e dall’uccisione degli animali. Nonché il rifiuto di dedicarsi, partecipare e sostenere attività che implicano l’uso dell’animale e la sua riduzione a oggetto (circhi, sagre con animali, delfinari, zoo).