Attraverso i marcatori legati al gene FSHR (Follicle Stimulating Hormone Receptor) del muggine Mugil cephalus, è possibile sapere sin dai primi stadi di sviluppo e con alta probabilità, se sarà maschio o femmina.
La scoperta, realizzata grazie al sequenziamento del genoma del muggine, l’ha fatta un team di ricerca. Dell’Università di Padova in collaborazione con l’Università di Cagliari, dell’ISPRA. E del “Fisheries Research Institute” greco.
I risultati dello studio ‘Fshr’ appena pubblicato sulla rivista «iScience», aiutano a comprendere il complesso sistema di determinazione del sesso. Che, nei pesci, non ha solo componenti genetiche ma anche ambientali e “sociali”.
Ci sono infatti specie di pesci che ad una certa età cambiano sesso (per esempio le orate sono prima maschi e poi, verso i due anni, diventano femmine). O che invertono il sesso in base alle condizioni ambientali (temperatura). O al fatto che nella popolazione il rapporto tra i sessi è sbilanciato. (se ci sono troppe femmine alcune diventano maschi o vice versa).
Nel caso dei muggini sembra che il sesso sia deciso molto precocemente e, in questa “decisione”, il gene FSHR ha un ruolo determinante.
«Questa informazione non solo ha una grande valenza scientifica considerato il complesso sistema di determinazione del sesso nei pesci ancora oggi poco compreso. Spiega Tomaso Patarnello docente del Dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione dell’Università di Padova coordinatore della ricerca insieme a Luca Bargelloni. “Ma è anche di grande importanza applicativa dal momento che la bottarga si produce dalle gonadi femminili dei muggini e fino alla maturità sessuale (2-3 anni) non è possibile stabilire il sesso se non attraverso l’esame istologico della gonade».
La capacità di selezionare molto precocemente solo femmine da portare alla maturità sessuale, in ambiente naturale, potrebbe ridurre (o proprio dimezzare) lo sforzo ed i costi di produzione della bottarga. «Questo si traduce in un deciso incremento della produzione di bottarga con aumento del reddito per gli operatori e una riduzione dell’import di uova dall’estero» afferma Angelo Cau docente dell’Università di Cagliari, promotore di questo studio.