Gli effetti a breve e lungo termine del Covid-19: dolore, alterazione del sonno, ansia, paura. Il ruolo del follow up e della riabilitazione dopo la dimissione del paziente dalla terapia intensiva.
Gli effetti sono una delle preoccupanti considerazioni derivate dalla pandemia da SARS-COV-2. Tra le quali anche che il virus non aggredisce solo i polmoni con una polmonite interstiziale che lesiona seriamente gli alveoli e trombizza i piccoli vasi conducendo ad una insufficienza respiratoria talora mortale, ma attacca tutti gli organi causando
alcuni deficit che probabilmente permangono a lungo e con conseguenze importanti.
Recentemente una pubblicazione della Rockefeller University riporta l’individuazione dei pazienti “long-haulers”, cioè persone che dopo una infezione iniziale spesso moderata e curata a domicilio, non riescono a guarire e rimangono incapacitati perché non respirano adeguatamente e presentano una serie di altri sintomi cronici come costanti dolori al
petto e al cuore, sintomi intestinali, mal di testa, incapacità a concentrarsi, perdita di memoria, tachicardia anche al solo passaggio da sdraiati a seduti. Ma anche debolezza neuromuscolare, fatica, mancanza di respiro soprattutto sotto sforzo, tosse e moltissima debolezza. Altre alterazioni: riduzione dell’olfatto e dei gusti e disturbi del sonno. Inoltre, ci sono probabilità che vadano incontro a stroke più o meno gravi o ad
attacco ischemico transitorio nell’immediato ma anche nel medio-periodo legati all’alterazione della coagulazione. Questo è il quadro presentato durante il webinar “Organopatia da Covid-19. Diagnosi, terapia e follow up” organizzato da Motore Sanità.
I dati
I dati parlano chiaro: tra 1/5 e 1/10 dei pazienti soffrono di sintomi che durano più di un mese, mentre in un paziente su 45 (2,2%) perdurano per più di 3 mesi. Attualmente nel mondo sono segnalate circa 4 milioni di persone con sequele e malattia con sequele croniche. Sono colpiti sia pazienti che hanno avuto una infezione grave sia lieve e/o moderata. Una parte di questi pazienti hanno una permanenza del virus annidata in alcuni
organi che determina una pioggia citochinica continua con stato infiammatorio e, se si giunge ad immunodepressione, anche alla riattivazione della malattia con aggravamento importante.
Cuore, cervello, apparato gastrointestinale, rene sono gli organi colpiti con conseguenze talora pesanti, da cui l’importanza di una consapevolezza clinica delle patologie derivanti, a partire dalla loro diagnosi, terapia e soprattutto follow up come organizzato da alcune Regioni al fine di
capire l’importanza e la varietà dei residui post Covid nei cittadini contagiati.
Il farmaco che modula gli effetti
Oggi c’è un farmaco che modula gli effetti della tempesta citochimica e potrebbe avere influenza anche su manifestazioni croniche.
“La somministrazione del Baricitinib, medicinale già impiegato per la cura dell’artrite reumatoide, e usato in modo “off-label sui 20 pazienti affetti dalle forme più gravi di Covid-19, ha mostrato in 7 giorni di somministrazione una marcata riduzione dei livelli sierici delle citochine infiammatorie mentre i linfociti T e B circolanti ritornano alla norma e il titolo anticorpale contro il virus si alza – ha spiegato Vincenzo Bronte, Direttore Immunologia AOUI Verona – in altri termini, il farmaco
ripristina la capacità difensiva del sistema immunitario danneggiata dal Covid. I risultati sono stati confermati da uno studio clinico statunitense che ha visto la somministrazione del Baricitinib in combinazione con il Remdesivir su una popolazione di 1.000 pazienti con polmonite da Covid-19”.
Secondo una analisi condotta dalla Pneumologia dell’Ospedale di Cremona, a 5-6 mesi dalla dimissione, su circa 400 pazienti già ricontrollati, la più frequente sintomatologia riferita è astenia, affaticabilità, dolori diffusi, dispnea inspiratoria a riposo, senso di costrizione toracica, alterazione del sonno, ansia e paura. Il 90% della sintomatologia è legata a problema
ansioso e a stress. Anche gli operatori sanitari riportano gravi conseguenze.