Brexit: l’accordo in extremis non rasserena le oltre 1.000 piccole imprese sarde che esportano in Gran Bretagna. Oltremanica quasi 50milioni di euro di prodotti dall’Isola.
Matzutzi (Presidente Confartigianato Sardegna) sulla brexit afferma: “Il timore più grande è quello di essere travolti da burocrazia e complicazioni”. La certificazione dei prodotti passerà da CE a UKCA e complicazioni previste anche per il commercio on line.
Fra qualche giorno la Brexit sarà una realtà per milioni di imprese europee, comprese quelle della Sardegna, che esportano i loro prodotti Oltremanica. Ma la firma di questo storico accordo commerciale sottoscritto tra Europa e Gran Bretagna non rasserena le realtà produttive isolane che si domandano quali saranno i rapporti che regoleranno l’export di Sardegna, Italia ed Europa verso Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord. Sono, infatti, più di un migliaio le piccole aziende sarde che commerciano con Londra e che rischiano una brusca frenata nei loro affari. Gli ultimi dati disponibili parlano di oltre 50milioni di euro annui di prodotti sardi piazzati sul suolo britannico.
Cosa tutto cambierà?
Cosa cambierà per chi vorrà vendere beni e servizi nel Regno Unito? Come si dovranno comportare gli artigiani per lavorare sul posto con le proprie maestranze e professionalità? Ci saranno complicazioni o facilitazioni? Cosa accadrà al commercio on line? Sono questi alcuni degli interrogativi su ciò che potrà accadere alle aziende esportatrici isolane, quesiti che Confartigianato Imprese Sardegna ha raccolto in queste ultime settimane.
“Nessuno conosce nel dettaglio l’accordo che regolerà i rapporti commerciali tra Regno Unito dalla UE, e ciò ci preoccupa abbastanza – afferma Antonio Matzutzi, Presidente di Confartigianato Imprese Sardegna – anche perché auspicavamo l’istituzione di un’area di libero scambio con regole armonizzate, ma di questo, per ora, nessuno ne parla. Soprattutto servirà particolare attenzione nel caso in cui il Regno Unito decidesse di chiudere accordi bilaterali con paesi come gli Stati Uniti. Per questo è necessario essere certi che quel paese non diventi un punto di ingresso per prodotti di Italian Sounding e non a norma europea”.
Infatti, dal primo gennaio, alimentari, abbigliamento, arredamenti, macchinari ma anche servizi alle imprese, materie prime e semilavorati dovranno, dopo tanti anni, nuovamente passare una dogana e svariati controlli ed essere accompagnati da numerose certificazioni e documenti. Per questo, tutte le cessioni di merci dall’Italia al Regno Unito rappresenteranno operazioni di esportazione; sarà perciò necessario espletare formalità doganali, tra cui la presentazione della dichiarazione, l’assegnazione del numero di riferimento dell’operazione, l’attribuzione del DAE (Documento Accompagnamento Esportazione) e la ricevuta di uscita della merce. Di conseguenza, di fatto le relazioni commerciali tra Regno Unito ed Europa saranno fortemente rallentate.
Ci sarà qualcosa in più da pagare
Qualcosa da pagare in più ci sarà anche sul fronte del commercio on line. “Con la Brexit, il web, che di fatto godeva del libero scambio, viene fermato – continua Matzutzi – acquisti e vendite, infatti, d’ora in poi, verranno equiparati a importazioni ed esportazioni, e quindi regolati da imposte doganali, per far entrare e uscire beni dalla Gran Bretagna, anche se le regole commerciali dovranno ancora essere scritte”.
Complicazioni anche per le “marcature e certificazioni” dei prodotti; per esempio, si passerà da quella CE alla UKCA (United Kingdom Conformity Assessed) anche se la CE sarà accettata ancora per 1 anno.