Il particolato atmosferico non favorisce la diffusione in aria del Covid-19. È quanto risulta da uno studio congiunto tra Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr e Arpa Lombardia, pubblicato su Environmental Research.
Il particolato atmosferico non favorisce la diffusione del coronavirus. “La prima ondata della pandemia da Covid-19, nell’inverno 2020, ha colpito in maniera più rilevante il Nord Italia rispetto al resto del Paese. La Lombardia è stata la Regione con la maggiore diffusione. A maggio 2020 vi erano registrati 76.469 casi, pari al 36,9% del totale italiano di 207.428 casi. Un recente studio, condotto dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac), sedi di Lecce e Bologna, e dall’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente-Arpa Lombardia, dimostra che particolato atmosferico e virus non interagiscono tra loro. Pertanto la probabilità di maggiore trasmissione in aria del contagio in outdoor in zone ad elevato inquinamento atmosferico appare essenzialmente trascurabile“.
La ricerca e i suoi dati
La ricerca è condotta analizzando i dati, per l’inverno 2020, degli ambienti outdoor per le città di Milano e Bergamo.
Inoltre: “Tra le tesi avanzate, vi è quella che mette in relazione la diffusione virale con i parametri atmosferici. Inoltre si ipotizza che scarsa ventilazione e stabilità atmosferica (tipiche del periodo invernale nella Pianura Padana) e il particolato atmosferico, cioè le particelle solide o liquide di sorgenti naturali e antropiche, presenti in atmosfera in elevate concentrazioni nel periodo invernale in Lombardia, possano favorire la trasmissione in aria (airborne) del contagio”. Spiega Daniele Contini, ricercatore di Cnr-Isac (Lecce).
“È stato infatti supposto che tali elementi possano agire come veicolo per il SARS-CoV-2 formando degli agglomerati (clusters) con le emissioni respiratorie delle persone infette. In tal caso il conseguente trasporto a grande distanza e l’incremento del tempo di permanenza in atmosfera del particolato emesso avrebbero potuto favorire la diffusione airborne del contagio”, aggiunge.
Infine nella ricerca sono stimate le concentrazioni di particelle virali in atmosfera a Milano e Bergamo in funzione del numero delle persone positive nel periodo di studio, sia in termini medi sia nello scenario peggiore per la dispersione degli inquinanti tipico delle aree in studio.