Il SONNO criogenico dei lemuri, per consentire agli astronauti di imbarcarsi in missioni nello Spazio profondo lunghe e altrimenti impraticabili sotto diversi aspetti. Dalla reazione dell’organismo a un ambiente tanto ostile agli approvvigionamenti per la sussistenza a bordo. Ne parla un gruppo di esperti recuperando una vecchia ma sempre affascinante idea per affrontare il problema.
Quella della biostasi, una modalità per rallentare i processi metabolici senza abbassare artificialmente la temperatura in modo da indurre uno stato di animazione sospesa. Sembra di immergersi nella più cervellotica fantascienza alla “Avatar” o “Interstellar” ma se potessimo indurre una condizione simile anche negli esseri umani, come accade in molti animali, potremmo schivare gran parte degli ostacoli legati a ogni esperienza spaziale. Specie i possibili e lunghi viaggi del futuro: il tempo, le questioni legate alla salute, le dimensioni dei mezzi spaziali e l’ingombro delle risorse e delle provviste.
Il dipartimento della Difesa statunitense, e altre agenzie spaziali, stanno studiando da tempo questo fronte. A dire il vero non solo per finalità legate all’esplorazione spaziale. Per esempio indagando, nuove soluzioni mediche in contesti in cui gli interventi chirurgici e terapeutici non possano essere subito possibili.
La biostasi potrebbe essere uno di questi, per esempio in un contesto bellico ma anche durante catastrofi naturali ed epidemie. L’obiettivo sarebbe dunque quello di mettere l’organismo in pausa e guadagnare tempo per salvare più vite. Nel nostro scenario spaziale, invece, servirebbe a fare più strada subendo meno contraccolpi.
I lemuri saranno la chiave?
Dunque come si fa a tradurre il meccanismo della quiescenza tipico di alcuni mammiferi e rettili, dall’orso bruno alla marmotta alla testuggine di Hermann, negli esseri umani? Gli scienziati hanno scoperto simili abilità in animali che sono simili agli esseri umani dal punto di vista evoluzionistico. Alcuni primati in grado di mettersi in letargo quando le temperature calano e le risorse sono scarse senza necessariamente subire un calo di temperatura corporea troppo brusco.
Un’indagine di qualche anno fa, aveva per esempio individuato questo meccanismo nei lemuri del Madagascar. Si tratta di uno dei più piccoli primati viventi, considerando le ridotte dimensioni e un peso massimo di 60 grammi. Il delicato lemure riesce a entrare in uno stato di quiescenza grazie al suo microRNA. L’idea degli esperti è dunque che studiando i pattern e i meccanismi di microRNA utilizzati da questi animali potremmo essere in grado di sfruttare questa capacità di attivazione e disattivazione genica rapida per supportare processi di ibernazione negli esseri umani sottoposti a sfide estreme. Ovviamente a patto di aver fatto i conti con ogni interrogativo etico.
https://www.unicaradio.it/2020/11/quanto-e-denso-il-vuoto-dello-spazio/