L’Ordine degli architetti della città metropolitana ha sdoganato ufficialmente il termine architetta. Questo approvando il timbro con la declinazione femminile del titolo professionale
“Architetta“: dopo l’Ordine di Bergamo, Roma, Milano e Torino anche quello di Cagliari sdogana il femminile. Da Cagliari un nuovo impulso che rilancia la battaglia sul linguaggio di genere. In particolare l’Ordine degli architetti della città metropolitana e Sud Sardegna ha sdoganato ufficialmente il termine “architetta”. Questo approvando il timbro con la declinazione femminile del titolo professionale.
A chiederlo una delle iscritte, Silvia Mocci, ingegnere e architetto. Inoltre è docente a contratto di Tecnologia dell’architettura presso l’Università di Sassari e svolge attività di ricerca al Dicaar di Cagliari. I suoi campi di studio sono l’architettura contemporanea nei contesti consolidati e negli ambiti rurali mediterranei e quella moderna coloniale in Algeria e Marocco.
“Ci è sembrato naturale accogliere la sua richiesta – spiega Teresa De Montis, presidente dell’Ordine che conta 312 donne su un totale di 723 iscritti, il 43% -, chi volesse utilizzare il termine “architetta”, dovrà semplicemente richiederlo all’Ordine. Non c’è alcun obbligo, ma la possibilità di farlo. È un’opportunità in più che si offre a chi lo desidera”.
“Il tema del linguaggio di genere e del riconoscimento delle professionalità declinate al femminile è uno dei temi principi su cui da sempre lavora Giulia Giornaliste, sottolinea la fondatrice del coordinamento della Sardegna, Susi Ronchi, chiamata dalle architette a partecipare al dibattito promosso lo scorso dicembre”.
“Risale al 1987 il rapporto di Alma Sabatini, “Il sessismo nella lingua italiana“, commissionato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con le sue Raccomandazioni per un uso non sessista nella lingua italiana – ricorda De Montis -, dopo i riconoscimenti da parte dell’Accademia della Crusca e del Miur si arriva all’Agenda 2030. Tra gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile non poteva non includere il raggiungimento dell’uguaglianza di genere”.