Si considera uno dei pianeti rocciosi più antichi mai scoperti. Si tratta di una sorta di super terra primordiale, quello individuato da un team di ricerca dell’Università delle Hawaii capitanato dall’astronomo Lauren Weiss. Denominato TOI-561 b, il pianeta sembra essersi formato 10 miliardi di anni fa. I pianeti rocciosi possono essere antichi quanto altre tipologie di pianeti o quanto alcune delle più antiche stelle.
Scoperta astronomia importante: trovato uno dei pianeti rocciosi più antichi mai scoperti. Si tratta di una super terra primordiale.
Il pianeta è stato individuato insieme ad altri due pianeti, TOI-561 c e TOI-561 d, grazie ai dati raccolti dal telescopio spaziale TESS che ha individuato le deboli diminuzioni della luminosità della stella TOI-561 provocate dal passaggio degli stessi pianeti.
Il sistema TOI-561 si trova ad una distanza di 280 anni luce da noi ed il pianeta più interessante è sicuramente TOI-561 b, una superterra rocciosa con le dimensioni di 1,5 volte quelle della Terra e con una massa circa tre volte quella del nostro pianeta.
La durata di una giornata
Questo pianeta esegue un giro completo intorno alla stella ogni 10,5 ore e dunque è vicinissimo all’astro. Proprio per la sua vicinanza alla stella i ricercatori credono che non sia abitabile. Essendo però roccioso, questo vuol dire che deve essere fatto, almeno superficialmente, da un oceano di magma. Quest’ultimo caratterizzerebbe, però, solo il lato che rivolge lafaccia perennemente verso la stella mentre l’altro lato dovrebbe essere molto più freddo.
Il sistema TOI-561 sembra avere un’età di 10 miliardi di anni, più del doppio dell’età del sistema solare. Il pianeta, così come la sua stella, dovrebbe avere un basso livello di metallicità, cosa suggerita dal fatto che le stelle più antiche dell’universo sono quasi sempre molto povere di metalli in quanto questo tipo di elementi si sono diffusi nello spazio solo grazie alle supernovae, ossia alla fine della vita delle stelle massicce, e non dunque nella fase primordiale dell’universo stesso. Lo studio è pubblicato su arXiv e sull’Astronomical Journal.